Le geometrie di Meloni, i dubbi di Schlein: il doppio registro nell’arte delle alleanze

La premier frena e accelera con tempismo, tiene tutto in equilibrio. Anche la segretaria dem avrebbe le leve giuste, ma esita: per lei Conte ormai è più di un’insidia

Carlo BertiniCarlo Bertini
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Agf)
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Agf)

Quale è il filo rosso che unisce lo scontro sulla Francia, la polemica sui vaccini e la querelle sulle candidature alle prossime elezioni regionali? L’arte di fare politica. Sì, perché un filo c’è ed è biondo come la chioma di Giorgia Meloni.

La quale, pur scontando l’accusa di doppiopesismo, segue una strategia precisa e rodata, di tipo geometrico: giocando di sponda ora con l’uno, ora con l’altro alleato, dosando silenzi e indifferenza come nel caso degli insulti di Salvini a Macron che non ha voluto censurare, fa in modo di trovarsi sempre nel mezzo del campo di gioco: e come si sa, in politica il posizionamento è un must che fa la differenza.

Mille giorni di governo Meloni: tengono i conti, male le riforme
Carlo BertiniCarlo Bertini
La premier Giorgia Meloni

Sono solo esempi, se ne potrebbero fare molti, sui terreni divisivi delle pensioni e delle tasse, dell’economia e della giustizia, ma fermiamoci qui, anche per immortalare il modo con cui gestirà la fase più spinosa dell’autunno, quella della legge di bilancio, dove sarà costretta a “dare i resti” ai due alleati.

Quindi, se sull’azzeramento della commissione sui vaccini la premier bacchetta il ministro di Forza Italia e tira il carro dalla stessa parte di Matteo Salvini, spingendo in Parlamento medici no-vax per vellicare un elettorato comune alla Lega, sul puzzle delle candidature alle regionali, in tandem con Tajani fa cuocere a fuoco lento Salvini (fino a settembre niente accordo sul Veneto) per ficcargli in testa che sono finiti i tempi delle vacche grasse e che non può più governare quattro regioni su cinque, Veneto, Lombardia, Fvg e Trentino.

Morale? Il cerchiobottismo elevato a capacità di leadership, come nella migliore tradizione democristiana. Una modalità studiata per non farsi scavalcare a destra e al centro. E che dimostra come nel centrodestra ci sia una leader che governa seguendo il dogma del “divide et impera”, forte del fatto di ritrovarsi due alleati con la stessa forza elettorale, simili come l’olio e l’aceto, per usare una recente espressione di Trump. Fortuna che aveva pure il Cavaliere, con la Lega di Bossi e Alleanza nazionale di Fini: lasciava che cane e gatto si mordessero, e quando i due non si parlavano più doveva convocare meeting separati.

Giorgia fa lo stesso, sapendo che così la coalizione resterà in equilibrio. Tanto che Antonio Tajani, formatosi alla scuola di Re Silvio, va ripetendo che questa maggioranza non si sgretolerà mai. Semplice: ha una leader che guida un partito con il triplo dei voti degli alleati e un programma basico legge e ordine che piace a tutti e tre. Equilibrio perfetto quindi, che produce una solidità garantita, al netto delle enormi divergenze su tutti i fronti, a cominciare dalla politica estera.

E allora c’è da chiedersi, perché la stessa cosa non avvenga nel centrosinistra con Elly Schlein, che potrebbe fare da ago della bilancia sull’altra sponda del fiume. Tanto più che è proprio Giorgia a riconoscere quel ruolo solo a lei e in ogni tornante parlamentare.

Il recinto che intrappola il Pd di Elly Schlein
Carlo BertiniCarlo Bertini
Elly Schlein, segretaria del Pd (Ansa)

I 5 stelle e la sinistra di Avs hanno sintonia con il Pd sui problemi del lavoro, dal salario minimo al reddito di inclusione; mentre l’ala moderata di +Europa e Italia Viva di Renzi ha diversi punti di contatto possibili. Le sintonie con riformisti e cattolici non mancano: sull’Ucraina Schlein ha mantenuto una posizione ferma fin dall’inizio, schierandosi senza tentennamenti con Kiev (a differenza dei 5 stelle), anche se ha fatto astenere il suo Pd sul piano di riarmo europeo per una endogena spinta pacifista.

Su Gaza, tutti i blocchi del centrosinistra sono allineati se pure con toni molto differenti. Anche sui no vax Elly potrebbe ritrovarsi in linea con Renzi, facendo pesare a Conte (che ha governato il Paese durante il Covid) la timida gestione della sua base no vax. Insomma, invece di farsi dettare l’agenda da Conte e Fratoianni, toccando le leve giuste ci sarebbero i modi per esercitare una leadership e farsela riconoscere dagli azionisti di minoranza di una futura coalizione. Al di là del maggior peso elettorale del Pd, che è condizione necessaria ma non sufficiente.

Così Conte tiene il Pd al guinzaglio
Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Giuseppe Conte ed Elly Schlein (Ansa)

Ma questo obiettivo non pare essere nelle corde di Schlein, come se a lei interessi svolgere al meglio il compito già impegnativo assai, di segretaria dem. E tra un leader – Conte – che invece ci tiene a svolgerlo, tanto da farlo ben capire all’esterno; e una leader che non fa nulla per interpretarlo sul campo, non sarebbe una sorpresa se fosse l’avvocato del popolo a imporsi ove mai fossero convocate davvero le primarie del centrosinistra per scegliere il leader del centrosinistra da mettere sulla scheda alle politiche.

Non solo grazie alle suggestioni populiste no war e no work, ma anche in virtù del fatto che non deve costruirsi un expertise, dopo aver guidato due governi con diverse maggioranze: e quindi è lì, che aspetta Elly al varco.

C’è da vedere, a quel punto, cosa farebbe Matteo Renzi, ma questa è un’altra storia.

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