Divergenze filosofiche e interessi politici: Macron è il bersaglio ideale per Salvini

La rivalità tra i due nasce da lontano. Negli occhi del leader leghista, sono diversi sono gli elementi che rendono il presidente francese il nemico perfetto

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Matteo Salvini
Matteo Salvini

«Parigi val bene una messa», disse il futuro Enrico IV che, per salire sul trono di Francia, abiurò la fede calvinista. Figurarsi, quindi, quanto può valere per Matteo Salvini mandare il presidente della République ad «attaccarsi al tram». È proprio questa, detta in dialetto milanese, l’espressione che il leader della Lega ha utilizzato nei confronti di Emmanuel Macron, ultima tappa dell’escalation di improperi che hanno generato varie reazioni (a partire dalle convocazioni della nostra ambasciatrice a Parigi).

Ma Salvini – che, per inciso, da vicepremier sarebbe uno dei vertici istituzionali dell’esecutivo, ma possiede una certa attitudine a dimenticarselo con questo linguaggio da comizio e campagna elettorale permanenti – ammanta la sua retorica incendiaria sotto il mantello della difesa dell’interesse nazionale. E, di certo, Italia e Francia sono concorrenti in varie aree di influenza e settori strategici, sin dai tempi dell’Unità d’Italia, che – come noto – trovò nella potenza d’Oltralpe un ostacolo e venne invece supportata all’epoca dall’Impero britannico.

Dunque, una rivalità e una competition decisamente di lungo periodo che, nel corso del tempo, ha assunto svariate forme e declinazioni, ma dall’ingresso nella costruzione europea ha lasciato spazio alla dimensione dell’alleanza strutturale e dell’intesa (anche se ultimamente assai poco cordiale); e, di fronte a sfide in larga parte comuni, ha condotto anche al Trattato del Quirinale per la cooperazione bilaterale rafforzata siglato da Macron e Mario Draghi nell’aprile del 2021.

Pure allora Salvini stava in maggioranza (di larghe intese), ma la sua esigenza dominante negli anni successivi è divenuta quella di cannoneggiare la Francia, ovvero di indicare un nemico per ragioni elettoralistiche a fronte di sondaggi che rimangono assai poco soddisfascenti.

E, oltre alle contingenze politiche, esistono diversi elementi più di fondo che rendono Macron il bersaglio leghista ideale. Il presidente francese è, infatti, l’antagonista per antonomasia di Marine Le Pen, stretta alleata di Salvini, e rappresenta la “bestia nera” di tutti i populisti europei e, in particolare, nostrani, dal governo gialloverde in avanti (si pensi, per fare un esempio sostanzioso, all’inusitato viaggio di Di Battista e Di Maio dai gilets gialli nel febbraio 2019). Macron è il maggiore esponente di un centrismo modernista (e piuttosto elitista), che identifica l’antitesi delle retoriche salviniane. E un inflessibile leader europeista (seppure nel solco gollista che prevede un ruolo centrale della Francia), un duro avversario dei sovranisti, nonché uno dei capi dei Volonterosi schierati con l’Ucraina e contro il Cremlino.

E si ritrova anche una divergenza filosofica: Macron è l’alfiere di una Francia neoilluminista, dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (aggiornati in chiave postmoderna), che nelle “guerre culturali” agitate dalle destre populiste diventa anche la roccaforte continentale del politicamente corretto.

Nel frattempo, dentro il governo, Meloni, che non vuole farsi scavalcare a destra dalla Lega e ha un rapporto assai problematico con il capo dello Stato transalpino, rimane in silenzio; e solo Forza Italia prende le distanze dalle intemerate salviniane. 

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