Così Conte tiene il Pd al guinzaglio

Il “campo largo” rimane un cartello elettorale e non costituisce una coalizione a pieno titolo

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Giuseppe Conte ed Elly Schlein (Ansa)
Giuseppe Conte ed Elly Schlein (Ansa)

Mission non impossible: contenere il più possibile il Partito democratico. In buona sostanza, è questa la magnifica ossessione di Giuseppe Conte, mentre dall’altra parte persiste la «volontà testardamente unitaria» di Elly Schlein che, non di rado, mostra i segni dell’autolesionismo.

Così, il “campo (che fatica a essere) largo” rimane, in tutta evidenza, un cartello elettorale e non costituisce una coalizione a pieno titolo – caratteristica presente anche sul versante opposto dell’arco politico, ma con alcuni elementi che rendono comunque l’amalgama (per usare la famigerata formula dalemiana) sicuramente più efficace sul piano della conquista del consenso a livello nazionale. E che debba restare tale è, per l’appunto, un altro asse della strategia del CamaleConte che, di nuovo, di recente – nel corso dell’ultimo Consiglio nazionale del M5s – ha ribadito di «non potere assicurare» alleanze col Pd in tutte le regioni.

Il recinto che intrappola il Pd di Elly Schlein
Carlo BertiniCarlo Bertini
Elly Schlein, segretaria del Pd (Ansa)

Riconfermando, altresì, una volta di più come la segretaria dem «testardamente unitaria» si ritrovi infilata, per usare la teoria dei giochi, in un esemplare dilemma del prigioniero. Del resto, i voti 5 Stelle servono, e dunque Conte «se li fa pagare» carissimi, ricorrendo al consueto schema delle scorciatoie che evitano l’assunzione diretta di responsabilità al cospetto di scelte scomode.

A partire da quello che si potrebbe etichettare come il referendum scaricabarile presso gli iscritti, come – da ultimo – per la ricandidatura del quasi ex nemico Eugenio Giani alle regionali in Toscana. Una consultazione il cui andamento (molto lento) appare terribilmente eloquente, e segnala – tra maggioranza minima dei votanti e risultato finale non proprio schiacciante (con il 59% soltanto dei favorevoli) – che, da un lato, il corpaccione pentastellato continua a digerire assai a fatica il posizionamento accanto al Pd e, dall’altro, che il funambolico e trasformista presidente del partito già movimento si avvale della mai sopita anima postideologica (né con la destra, né con la sinistra) per alzare il prezzo delle convergenze.

Un M5s con più vite di un gatto, quindi (e, di certo, più di cinque...), e delle geometrie variabili, intento a compiere al momento una svolta “garantista” (come nell’affaire Matteo Ricci). Sempre all’insegna della finalità contiana di tenere sotto pressione il Pd, con risultati non secondari come quelli derivanti dall’apertura del “fronte Sud” delle candidature.

Difatti, ha strappato quella di Roberto Fico in Campania, esternalizzando di fatto tutte le perdite a danno della competitor Schlein, nel senso che sarà lei a pagare pedaggio (dal figlio di Vincenzo De Luca, Piero, quale prossimo segretario regionale, alla pattuglia di fedelissimi del governatore in giunta e in Consiglio in caso di vittoria), con l’esito evidente, qui come altrove, del fallimento dell’obiettivo dello “sfratto dei cacicchi”.

E in questi giorni Conte mette l’ipoteca su un suo candidato anche in Calabria (Pasquale Tridico o Vittoria Baldino). L’ex premier “mina vagante” ha appreso benissimo a praticare la politique politicienne, e si rivela da tempo un abile tattico capace di coltivare costantemente gli interessi suoi e della sua formazione politica. Che non è affatto detto, tuttavia, si rivelino pure quelli più utili per far vincere il fronte progressista. 

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