I cinema respingono i film Netflix, ecco perché

Il servizio di streaming porta in sala A House of Dynamite ma solo per 14 giorni, sarà così anche per Frankenstein. Esercenti in rivolta, solo in 16 lo proietteranno

Marco ContinoMarco Contino
“A House of Dynamite” è stato presentato in concorso alla Mostra di Venezia
“A House of Dynamite” è stato presentato in concorso alla Mostra di Venezia

Dopo l’anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo attesissimo film di Kathryn Bigelow - A House of Dynamite - è sbarcato in sala. Ma la sfida è riuscire a trovarlo. Lo hanno programmato, infatti, 16 cinema in tutta Italia, nel Triveneto solo 15 schermi su 3.500: il “Lux” di Padova, il “Leone XIII” di Vicenza, il “Nazionale” di Trieste e il “Cinecittà” di Torreano di Martignacco.

Perché il film di una delle autrici più affermate del cinema contemporaneo, prima donna a vincere l’Oscar per la miglior regia, ha una distribuzione così rarefatta? Il motivo è semplice e si chiama Netflix. Che ha scelto per “A House of Dynamite” una finestra cinematografica (meglio, un oblò) di due settimane, visto che il film sarà on demand già dal 24 ottobre. Stessa sorte per il “Frankenstein” di Guillermo Del Toro: al cinema dal 22 ottobre ma solo fino al 7 novembre quando gli abbonati Netflix potranno goderselo sul divano di casa.

La parentesi svilente

Per gli esercenti si tratta di una parentesi cinematografica troppo breve e svilente, sebbene consentita. Il Decreto del ministro dei Beni e delle Attività Culturali del 14 luglio 2017, infatti, impone la diffusione in sala per un periodo di almeno 90 giorni prima che l’opera sia resa disponibile su altri canali solo per i film che intendano ottenere i contributi pubblici.

Non è il caso di Netflix che lancia il proprio prodotto in sala (senza alcuna promozione), solo per fargli fare “vetrina” anche se al colosso dello streaming il cinema (inteso come programmazione sul grande schermo) non interessa affatto. E agli esercenti, così, non sta bene. Tanto da rendere il film, di fatto, invisibile.

«Non siamo semplice vetrina»

Il Consorzio “UniCi” che unisce 77 sale e 408 schermi su tutto il territorio nazionale ha affidato ad un comunicato le motivazioni della decisione di non programmare “A House of Dynamite”: «Riteniamo che la sala non possa ridursi a una semplice vetrina promozionale per altri sfruttamenti, ma debba essere riconosciuta come uno spazio centrale e insostituibile nel percorso di vita di un film».

Sulla posizione di “UniCi” anche (quasi tutti) gli altri cinema italiani. Bruno Abriani, esercente storico di Padova, punto di riferimento in Veneto, spiega meglio: «È una situazione molto complicata in un contesto difficile per le sale. Nel caso specifico era oggettivamente impossibile non allinearsi al fronte degli esercenti che hanno deciso di non programmare il film Netflix.

Non è un giudizio di merito sull’opera che, anzi, avremmo con piacere fatto uscire in sala. Siamo consapevoli che questa presa di posizione non avrà effetti concreti sulle politiche di Netflix. Il messaggio delle sale è semmai rivolto alle altre major che, tendenzialmente, rispettano le regole con finestre cinematografiche adeguate. Un messaggio di solidarietà ma anche un monito perché i film restino prima di tutto un prodotto cinematografico per un tempo adeguato allo sfruttamento in sala».

La crepa culturale

È una crepa culturale e di costume sempre più profonda che, ora anche in Italia, chiama allo schieramento. Il Festival di Cannes lo ha già fatto da un po’: i film Netflix non sono selezionati in concorso che pretende solo titoli “nati” per la sala. Venezia ha una strategia completamente diversa sulla quale, forse, alla luce della presa di posizione, mai così compatta, degli esercenti, il dibattito andrebbe riaperto.

Per Ezio Leoni, esercente del “Lux” di Padova, uno dei 16 arditi controcorrente «non si tratta né di un tradimento e nemmeno di piegarsi alle logiche di Netflix. Il mio è un cinema indipendente e quasi tutto il pubblico è socio del relativo circolo. Ho una dimensione molto diversa da quella dei cinema cosiddetti commerciali. Quando mi hanno proposto di programmare il film, ho pensato soltanto alla sua qualità, al fatto che fosse adatto al mio pubblico: Netflix o non Netflix non fa differenza».

Tutti perdenti o quasi

La sensazione, però, è che, da questa vicenda distributiva, tutti (tranne uno) escano un po’ perdenti. Gli esercenti, prima di tutto, che si trovano costretti, loro malgrado, a rinunciare a un titolo di richiamo, con relativo danno economico.

Ma anche quel pubblico che non si rassegna a vedere i film da casa e a cui, di fatto, viene negato il diritto di fruirne sul grande schermo (a meno di non sobbarcarsi una trasferta più o meno lunga). Netflix, invece, va avanti per la propria strada, senza subire danni e senza divulgare alcun dato. Il pallone è suo: la partita comincia e finisce quando decide lui. 

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