Quei volti oltre le sbarre in mostra nel carcere della Giudecca

Una raccolta di 40 immagini nella cappella del carcere femminile di Venezia. Le detenute, come per il padiglione della Santa Sede alla Biennale nel 2024, fanno da guide

La redazione

Sembra uno scatto di quotidianità come tanti. Una cucina, due uomini indaffarati, il fumo leggero che si solleva da una pentola. C’è un dettaglio, però, che fa intuire che quel luogo non ha la familiarità di un ristorante. Alle finestre, sullo sfondo, ci sono sbarre. Linee perpendicolari nere, che filtrano la luce, che impongono una riflessione.

È una delle quaranta fotografie, in bianco e nero, della mostra “I volti della povertà in carcere”, aperta fino al 19 dicembre nella cappella di Santa Maria Maddalena nella casa di reclusione femminile alla Giudecca, a Venezia, in concomitanza con il Giubileo dei Detenuti. L’esposizione prende forma dall’omonimo libro, realizzato da Matteo Pernaselci e Rossana Ruggiero, edito da Edb, con la prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi: gli scatti sono realizzati nel carcere di San Vittore a Milano, ma raccontano storie che valicano i confini di territorio.

Ad arricchire il percorso tra le immagini, è il luogo in cui queste trovano casa. Per accedere alla cappella di Santa Maria Maddalena, infatti, si entra fisicamente in carcere. I cellulari vanno lasciati all’ingresso, si resta scollegati dal flusso di dati e informazioni che solitamente abbiamo in tasca. Si entra in un tempo altro, ma non da soli. Le guide sono le carcerate, che introducono e raccontano al visitatore il senso della mostra. Non è nemmeno la prima volta che queste donne sono chiamate a interagire in questa modalità con i visitatori: bisogna riavvolgere il nastro alla Biennale Arte del 2024, quando la Santa Sede aveva scelto il carcere femminile come sede del suo padiglione intitolato “Con i miei occhi”. I grandi piedi dipinti da Maurizio Cattelan che si stagliavano sulla facciata, la scritta al neon “Siamo con voi nella notte” di Claire Fontaine caratterizzavano il percorso espositivo.

Ora, la mostra fotografica dialoga con il solo spazio della cappella. Le fotografie si stagliano su cavalletti in legno, limitate dai bordi di semplici cornici nere. «Queste immagini invitano tutti a guardare oltre le apparenze. Come guide, proviamo a dare voce a questi scatti. Senza giudicare, ma dando spazio alle loro storie», spiega una delle detenute che fa da guida.

Ecco la prima foto, due mani congiunte in primo piano, spicca il tatuaggio di un occhio racchiuso in un triangolo. «Alzate gli occhi», invita la guida. Sul soffitto della cappella, l’occhio tatuato si specchia in quello della Provvidenza. «Questo scatto parla di desiderio di riscatto, di un passato difficile con cui convivere», descrive la guida. Seconda immagine, seconda voce narrante. Un possente mazzo di chiavi, alcune spesse, altre più sottili, appese con un moschettone alla cintura di una guardia. «Sono le chiavi che sentiamo tintinnare ogni giorno, che ogni ora aprono e chiudono porte e cancelli», spiega un’altra detenuta.

I confini sono labili, le fotografie si lasciano attraversare dallo sguardo. Corridoi vuoti, dove le protagoniste sono le piastrelle di smalto bianco che ricoprono le pareti. «Solitudini, fragilità personali: la mostra è frutto di un anno di ascolto all’interno del carcere», continua, «è parte di un percorso più ampio, che coinvolge oltre dieci carceri italiane».

L’esposizione, infatti, è itinerante:all’inaugurazione erano presenti, tra gli altri, il patriarca di Venezia Francesco Moraglia e il sottosegretario al ministero della Giustizia Andrea Ostellari. «L’obiettivo è non abbandonare nessuno e restituire vera speranza», sottolinea a margine Ostellari, «chi viene riaccolto, non delinque più, gli “svuota carcere” in passato non hanno portato grandi risultati. È importante invece costruire percorsi come questi».

Per l’autrice del volume Ruggiero, «è fondamentale unire al percorso fotografico la lettura delle storie di questi volti». È infatti possibile “adottare” una storia, ovvero richiedere una ristampa originale in bianco e nero scelta tra le opere presenti nel volume. La mostra è gratuita, ma è aperta esclusivamente su prenotazione, in gruppi di massimo dieci persone e in fasce orarie prestabilite: per prenotarsi, è possibile consultare il sito www.retrosguardi.it oppure collegarsi alla piattaforma Eventbrite. Per un’esperienza in un universo altro, lontano ma incredibilmente vicino.

 

Le immagini

 

 

 

 

 

 

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