Le lettere di Giovanni Comisso, ritratto di una stagione della vita letteraria del ’900
L’epistolario pubblicato a cura di Giacomo Carlesso raccoglie la corrispondenza con Saba, Prezzolini, De Pisis: inediti e riflessioni che raccontano un’epoca

«L’artista deve comportarsi, in una disfida tra parti avverse, come il medico che ha il dovere di curare anche se nemico». Giovanni Comisso, scrittore trevigiano, lo scrive nel 1965, tornando a spiegare la sua collaborazione con il Corriere negli anni della Repubblica sociale.
Una frase che, letta oggi, nel nuovo Epistolario curato da Giacomo Carlesso, sintetizza anche il modo in cui Comisso ha attraversato, senza pacificarsi, il suo tempo e il suo scrivere. Quasi mille pagine di lettere non servono, infatti, solo a completarne l’immagine: la complicano. E restituiscono uno scrittore continuamente impegnato a negoziare con editori e direttori, con i giornali, con sé stesso, con la necessità di vivere di scrittura senza esserne fagocitato, tanto che la limpidezza della sua scrittura si rivela chiaramente come un esito cercato, lontano dalla spontaneità con cui è stata a lungo connotata.
La ricerca
Lo sottolinea Carlesso, al termine di tre anni di lavoro dottorale e di una ricerca sia nel Fondo Comisso, nella Biblioteca di Treviso intitolata allo scrittore, sia nel grande centro di documentazione digitale allestito dall’Associazione Amici di Comisso: «È uno scrittore che cancella le tracce della complessità nel momento in cui la trasforma in stile. Non a caso Umberto Saba paragonava il suo modo di lavorare a quello di un “assassino compulsivo”, capace di ripulire ogni segno del processo che ha condotto al risultato».
Sono molte le lettere inedite raccolte nel volume, non soltanto di Comisso: tanti processi e relazioni vive con figure come Umberto Saba, Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Prezzolini, Filippo de Pisis, Henry Furst e altri, che ritraggono un’intera stagione della vita letteraria del Novecento di cui Comisso fu protagonista.

Il rapporto con il giornalismo
Uno dei nuclei rivelatori dell’epistolario riguarda il suo rapporto con il giornalismo e la frattura mai ricomposta tra lo scrittore e il cronista. Il giornalismo è una fonte di reddito relativamente sicura, spesso l’unica; ma è anche una scrittura diversa, subordinata, accettata per necessità.
I carteggi con il Corriere, con la Gazzetta del Popolo e con altre testate mostrano una dipendenza economica strutturale, accompagnata da un rifiuto crescente dei meccanismi redazionali. Il “mandante” pesa sulla scrittura, fino a renderla qualcosa di talvolta inconciliabile con le sue ambizioni letterarie. Anche riguardo al rapporto con il fascismo, le lettere non assolvono e non condannano, ma disegnano una zona grigia fatta di adattamenti, necessità materiali, difesa di un margine di autonomia e attriti sul terreno del linguaggio e del valore letterario.
Emblematico è un articolo del 1938 scritto per la Gazzetta del Popolo, in cui l’incipit «Dopo la guerra la Francia ha avuto un grande prosatore, Marcel Proust» fu modificato in «Dopo la guerra la Francia ha avuto un buon prosatore, ma ebreo, Marcel Proust». Una variazione che provocò la reazione netta di Comisso in una lettera al direttore Giovanni Amicucci: «Ebreo o non ebreo, francese o non francese, Marcel Proust è un grande prosatore e non un buon prosatore», precisa, piccato.
I romanzi
Un altro passaggio centrale riguarda i romanzi degli anni Quaranta e Cinquanta. Le lettere permettono di seguirne da vicino la genesi, restituendo un processo di scrittura fatto di esitazioni, rifiuti, ripensamenti e giudizi: Capriccio e illusione, Gioventù che muore e Le mie stagioni si rivelano opere costruite per successive mediazioni, in equilibrio costante tra esperienza personale e trasfigurazione narrativa, mentre il carteggio con Henry Furst chiarisce le difficoltà di rendere narrabili le sue esperienze sentimentali omosessuali, affrontate attraverso il mutamento di sesso dei personaggi come soluzione difensiva, per poter dire ciò che, in quell’epoca, sarebbe stato impronunciabile.
Le lettere restituiscono un Comisso attentissimo al lavoro dei giovani: legge, segnala e sostiene autori come Giuseppe Berto, Goffredo Parise e un ancora sconosciuto Pier Paolo Pasolini. La stanchezza affiora evidente, infine, nelle corrispondenze degli ultimi anni: affronta i viaggi per necessità più che per slancio, pubblica i reportage con scarsa convinzione, soffre il ridimensionamento dello spazio pubblico della letteratura e, sicuramente, anche la propria “gioventù che muore”. Soffre, in fin dei conti, come ha sempre sofferto, nonostante quella scrittura così leggera da sembrare spontanea, così viva da continuare a essere moderna.
Carlesso afferma: «Queste lettere offrono materiali, piste e contraddizioni che potranno essere riprese e approfondite da altri studiosi». Consegna un archivio aperto che torna a parlare, mentre l’opera di Comisso conosce una nuova stagione di attenzione, in Italia e all’estero.
La scheda

L’Epistolario di Giovanni Comisso (pp 675, De Gruyter, scaricabile grauitamente online oppure acquistabile in copia cartacea a 161,46 euro), curato da Giacomo Carlesso, prende avvio dal lavoro di dottorato dell’autore e si sviluppa in una ricerca archivistica ampia, che va oltre il Fondo Comisso della Biblioteca di Treviso, con materiali finora inediti disponibili nel Centro di Documentazione Digitale curato dall’Associazione amici di Giovanni Comisso.
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