Casaro e il feeling con le star. La dedica di Tarantino: «Sei il mio preferito. Love»
Nella notte di lunedì 29 settembre la scomparsa di Renato Casaro, l’ultimo grande cartellonista per il cinema. Amatissimo anche da Stallone che gli scrisse una dedica potente, mentre Terence Hill gli regalò la sella che usava nei film

«A Renato Casaro, grazie per la tua arte che dà grazia al mio film. Sei sempre stato il mio preferito! Love, Quentin Tarantino». È la dedica diretta, limpida e sentita, scritta col pennarello nero dal maestro del cinema post moderno Tarantino su una fotografia di Leonardo Di Caprio nel suo film “C’era una volta a Hollywood”, a cui Casaro ha collaborato non per farne la locandina ma per realizzare due poster vintage che appaiono nelle scene clou di questo omaggio al periodo western degli anni Sessanta.
Era il 2018, Casaro da tempo non disegnava manifesti, soppiantati da mezzi meno artigianali (e anche meno artistici) di realizzazione digitale. Tarantino lo chiamò, lo supplicò, perfino in ginocchio secondo talune versioni della leggenda (e conoscendo l’istrionico regista può essere assolutamente vero), di collaborare a “C’era una volta a Hollywood”, realizzando appositamente due manifesti vintage di due film inventati “Uccidimi subito Ringo, disse il Gringo” e “Nebraska boy”, con protagonista Leonardo di Caprio che emula George Hilton.
Casaro tirò fuori dal cassetto (chiuso, ma per fortuna non a chiave) matite, pastelli e pennelli, mettendosi al lavoro e realizzando due opere di grande effetto grafico, galvanizzando Tarantino al punto che le valorizzò in scene topiche e gli scrisse la dedica oggi esposta al museo della Collezione Salce a Treviso nella sede di San Gaetano.
Ma Tarantino è solo l’ultimo celeberrimo estimatore del più grande cartellonista della storia del cinema. Sylvester Stallone scrisse «a Renato, l’uomo che mi è entrato nell’anima con la sua arte», Eli Wallach lo ha ringraziato con un biglietto per il suo stile meraviglioso, Gregory Peck lo ammirava, Sergio Leone lo amava, a tal punto da farlo accedere ai suoi segretissimi set perché potesse assaporare l’atmosfera delle riprese, e tradurla nei suoi manifesti.
Terence Hill gli riconobbe un ruolo fondamentale per il successo di Trinità al punto da regalargli la sua inseparabile sella, usata per tutti i cavalli della nota saga di spaghetti western.
Restando in Italia, per Francesco Rosi il contributo all’arte cinematografica di Casaro è basato sulla «felice intuizione del mistero», mentre Dario Argento ammette che «quando una distribuzione voleva un manifesto di valore si rivolgeva a Casaro», e Carlo Verdone ne ricorda «la mente piena di mille idee per produrre personaggi palpitanti».
L’elenco di ricordi, biglietti, omaggi custoditi a casa Casaro e talvolta esposti nelle sue mostre, potrebbe continuare veramente all’infinito, come infinita è l’ammirazione di registi, attori, produttori che hanno attraversato oltre cinquant’anni di storia del cinema, affidandogli l’anima dei loro film perché lui la traducesse in icone senza tempo.
Una carriera inarrivabile nel suo ambito, che Casaro ha sempre gestito con passione e autentica umiltà, senza farsi tentare dal nome d’arte (che pur ebbe per un breve periodo), perché si sentiva un artigiano, un “casaro” appunto, come ha ribadito anche nella sua ultima apparizione pubblica all’inaugurazione della mostra al Museo Salce sulle sue locandine western.
Il genere che più lo ha stimolato e portato a guardare sempre oltre l’ultima frontiera, verso un’eternità artistica e umana che gli apparterrà per sempre.
Riproduzione riservata © il Nord Est