La Compagnia dei Brividi

Fulvio Ervas firma la prefazione al libro sui Cold Case, pubblicato nell’ambito della collana True Crime: «Non è difficile pensare che una trentina di assassini del Nordest abbiano continuato a vivere come se non fosse accaduto nulla»

Fulvio ErvasFulvio Ervas

Pubblichiamo qui sotto la prefazione che lo scrittore Fulvio Ervas ha scritto per il secondo volume della collana «True Crime a Nordest», dedicato ai delitti irrisolti.

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Nonostante la parola cold possa far suscitare qualche brivido, la raccolta che s’inoltra, con ardimento, nell’esplorazione di alcune decine di delitti nordestini irrisolti provocherà, sono certo, molte bollenti curiosità.

Personalmente ho ritrovato un delitto che mi aveva colpito quando nemmeno mi passava per la testa di scrivere gialli: 1991, Sandra Casagrande, Roncade, 22 coltellate, mai trovato l’assassino. Sono tutte storie criminali riportate alla luce come pepite smarrite nelle profondità. Provengono da tanti angoli del nostro territorio, distribuite in un ampio arco temporale. Di queste storie sono rimasti gli echi, deboli, solo negli incartamenti giudiziari. E naturalmente rimangono piantate nel cuore dei parenti delle vittime.

I termini cold case ricordano ai comuni cittadini ciò che gli appassionati di cronaca delittuosa sanno da sempre: in molti omicidi la parola vittima non riesce ad essere associata alla parola colpevole.

Si apre così una palese, crudele, asimmetria: molte vittime ricevono giustizia, qualcuna purtroppo no.

Ripercorrere i numerosi delitti irrisolti, come fa questa collana, non è solo un’operazione di memoria: è un’occasione per grandi riflessioni sulle azioni umane, siano esse rivolte al delitto quanto rivolte a garantire la giustizia.

Usando l’immaginazione ogni lettore potrà cercare di raffigurarsi l’acuta delusione degli investigatori o la rabbia dei familiari delle vittime.

Sappiamo tutti che dare un volto all’assassino non riporta in vita la vittima né lenisce il dolore degli affetti. Sappiamo, però, che fare giustizia è un antiinfiammatorio civile, mostra alla rete umana attorno alla vittima, ma simbolicamente lo dice alla vittima stessa, che quella vita strappata merita rispetto, dedizione, fatica, perché fa chiarezza o scopre in quale ragnatela letale fosse finita, a quali insani appetiti avesse donato la propria energia vitale.

Lo sforzo che fanno gli apparati della giustizia arrivando a scoprire i colpevoli ha l’effetto, potente, di non cancellare la vittima, di non lasciarla svanire, di non trasformarla in un dato irrilevante.

È per questo che i cold case lasciano un retrogusto amaro nella coscienza.

Non solo perché rivelano che gli apparati di giustizia non sono infallibili ma perché viene da chiedersi come mai quelle vittime abbiano visto la giustizia brancolare, mostrarsi inconcludente e perché proprio a loro sia capitato un assassino capace di occultarsi sino a dileguarsi, come un fantasma inghiottito dal tempo.

Perché alcune morti diventano, almeno simbolicamente, più terribili di altre?

Bisognerebbe, forse, farsi ammazzare in un luogo bene in vista, magari videosorvegliato, sperare che la scena del crimine non venga alterata, che gli investigatori non commettano errori troppo grossolani?

La famosa serie televisiva americana, proprio “Cold Case”, ci mostrava, sia pure all’interno della finzione narrativa, che tanti delitti rimangono impuniti per la complessità di certe indagini, per errori degli investigatori, per l’arretratezza stessa degli strumenti per identificare i colpevoli.

Lo sviluppo degli strumenti e delle tecniche di analisi sulle scene del crimine, la raccolta di informazioni videoregistrate, la possibilità di poter analizzare strumenti di comunicazione come telefoni e mail, rende sempre più faticosa l’impunità omicida. Certo si apre, da questo punto di vista, una battaglia darwiniana tra strumenti sommati all’abilità dell’investigatore e il furore ( o lucidità) dell’assassino.

Una gara che potrebbe davvero portare, come in certe opere di fantascienza, all’identificazione preventiva dell’intenzione di uccidere. In galera finirebbe l’omicida potenziale. Niente più assassinati dunque e tantomeno cold case?

Chissà…

In attesa, non è difficile pensare che una trentina di assassini del Nordest abbiano continuato a vivere come se non fosse accaduto nulla. A mangiare un piatto di spaghetti al pomodoro, a bersi un bicchiere, a guardare il telegiornale; si saranno addormentati riuscendo a controllare la pulsione, che potrebbe apparirci se non fisiologica almeno morale, di confessare un’azione atroce.

Si saranno assolti, magari convincendosi di essere stati se non bravissimi (e perciò di essersi meritato l’oblio), almeno fortunati, e quindi di essere stati scelti dalla sorte come non perseguibili.

La vincita al Lotto dei criminali.

Se posso concedermi, dopo la lettura della raccolta, una suggestione narrativa, materia per un romanzo, immagino che ci sia stato, durante questi anni, qualche bar di periferia, una vecchia osteria, un angolo maledetto, dove simili ceffi arrivavano per bersi un bicchiere tutti assieme.

E magari qualcuno tra noi, normali cittadini, ha bevuto uno spritz gomito a gomito con un assassino. Quegli impuniti brindavano al fallimento della giustizia che, vuoi per incapacità o per difficoltà, non ne aveva scoperto il volto e in quei luoghi si scambiavano qualche battuta sulle vittime, sulle modalità dell’omicidio, magari anche sulle motivazioni, rivelando, prima di tutto a se stessi, che il vero motivo per ammazzare sta nell’incapacità di vivere all’altezza del mondo: saper affrontare, risolvere, accettare. Cambiare e anche perdonare.

E forse questo ci insegna l’insieme degli eventi raccolti in questo lavoro: che per stare bene nel mondo, per non ammazzare o finire vittima, bisogna imparare.

Che cosa?

Che la vita si può dissipare in un istante. E quell’istante non torna più.

Per questo bisogna leggere questa collana: per legittime curiosità, ma ancor più per capire l’animo umano e sapersi mettere al riparo quando si percepiscono nebbie e cenni di lampi cupi.

Per imparare a non essere facili vittime.

La collana

Sessantacinque episodi, trentasei tra autrici e autori, cinque volumi: sono i numeri della collana «True Crime a Nordest», edita da Nord Est Multimedia (NEM) in sinergia con Editoriale Programma. Un’imponente antologia di fatti di cronaca nera che spazia dal Veneto al Friuli Venezia Giulia sino al Trentino-Alto Adige, ripercorrendo una serie di storie che si sono fissate nella memoria collettiva.

I cinque volumi vengono pubblicati con questo cronoprogramma

  1. Grandi delitti – Storie che non si dimenticano. Dal 20 settembre
  2. Cold Case – Casi insoluti, misteri aperti: prima parte. Dal 4 ottobre
  3. Cold Case - Casi insoluti, misteri aperti: prima parte. Dal 18 ottobre
  4. Fantasmi – Vite sospese, persone scomparse. Dal 30 ottobre
  5. Serial killer – La personificazione del male. Dal 15 novembre

Ogni episodio contiene una scheda riassuntiva e un virgolettato che riattualizza la vicenda, si tratti di un vecchio investigatore o di un parente della vittima. È, questa, un’opera antologica forte delle memorie, delle competenze, delle esperienze dei cronisti che nel corso degli anni e dei decenni hanno scritto sui nostri giornali.Eccoli

Autrici e autori

Irene Aliprandi, Franco Allegranzi, Antonio Bacci, Paolo Baron, Laura Berlinghieri, Rubina Bon, Paolo Cagnan, Elia Cavarzan, Nicola Cesaro, Giacomo Costa, Rocco Currado, Luana de Francisco, Alessia De Marchi, Andrea De Polo, Roberta De Rossi, Edoardo Di Salvo, Alice Ferretti, Francesco Furlan, Cristina Genesin, Lorenza Raffaello, Christian Seu, Gigi Sosso, Guido Surza, Laura Tonero, Sabrina Tomè, Viviana Zamarian

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