Scomparsi, l’angoscia dei familiari: «Da sedici anni cerchiamo papà. E non ci arrendiamo»

Stefania e Angela Bonduan, figlie di Mario, pensionato trevigiano sparito il 30 dicembre 2009 mentre era in vacanza a San Candido in Val Pusteria, da quel giorno hanno fatto i conti con segnalazioni tardive, sensi di colpa, ricerche non capillari. Ma hanno conosciuto anche molte persone splendide e l’associazione Penelope

Rubina BonRubina Bon
Stefania e Angela Bonduan con le foto del loro papà Mario, scomparso dal 2009 (foto Mattiuzzo/fotofilm)

Il 30 dicembre saranno sedici anni senza Mario Bonduan. Inghiottito nel nulla in centro a San Candido, in Val Pusteria, all’ora dell’aperitivo. Nessuna traccia del pensionato di Dosson nel Trevigiano, 67enne all’epoca della sparizione, nessuna pista, varie segnalazioni. Sedici anni in cui le figlie Stefania e Angela non si sono arrese, alla ricerca di quel punto fermo che non è ancora arrivato.

Il 12 dicembre ricorre la Giornata nazionale delle persone scomparse.

Ricordate l'esatto momento in cui avete preso coscienza che vostro papà era scomparso e non semplicemente perso in centro a San Candido?

Angela: «La mattina dopo la scomparsa, quando la fiducia nell’aiuto di chi aveva mezzi e possibilità di darci una mano ha lasciato spazio alla consapevolezza di essere lasciate sole».

Stefania: «Assolutamente sì: innanzitutto poco prima che rientrasse la persona che era con papà nel centro di San Candido avevo iniziato ad essere irrequieta e a guardare continuamente l’ora e in direzione della porta d’entrata. Verso le 18.30 ho sentito come un pugno allo stomaco e un bruciore interno che non aveva motivo di essere, ma che avrei capito di lì a poco. Personalmente collego a quello il momento in cui è accaduto qualcosa a papà che lo ha portato lontano da noi e, in particolare, dalla moglie da cui non si sarebbe mai staccato. Nell’andare con la mamma alla stazione di polizia mi sono sentita rassicurata dalla loro sicurezza nel ritenere che si sarebbe trovato da lì a poco. Nel frattempo, con i parenti lo abbiamo cercato, muovendoci su più direzioni, fino alle due di notte circa, poi siamo rientrate a casa. La mattina del 31, non avendo ricevuto alcuna telefonata durante la notte, ho capito che non sarebbe stata una cosa immediata, ma ancora confidavo che si trattasse di ore. Ricordo che nessuno di noi aveva voglia di festeggiare, ma durante tutta la giornata continuavo a dire di preparare la cena perché alla sera papà sarebbe stato di nuovo con noi. Ero ancora sicura che lo avrebbero trovato… o meglio che lo stessero cercando come avrebbero potuto.
Con il passare del tempo, però, ha iniziato a farsi largo un senso di solitudine: sapevo che c’erano delle persone del “mestiere” che ci stavano aiutando ma al tempo stesso percepivo che Angela, mamma ed io avremmo dovuto fare da sole e che eravamo sole. Purtroppo nei giorni successivi è stata una conferma di quella sensazione».

La scomparsa di vostro papà è stata caratterizzata da diverse segnalazioni, almeno un paio peraltro ritenute molto verosimili. Cosa non ha funzionato nel meccanismo di segnalazione per cui quell'uomo che pareva Mario non è stato fermato in tempo?

Angela e Stefania: «Riteniamo che la mancanza di tempestività nel segnalare, seppur nel dubbio, possa aver inceppato la possibilità di fermare e conseguentemente identificare la persona segnalata. In particolare pensiamo che possa frenare la paura di “mettersi in mezzo perché chissà cosa c’è sotto”. A noi è capitato in occasione di una delle segnalazioni peraltro ritenute più verosimili. Siamo venute a conoscenza in modo del tutto fortuito di questo avvistamento e, attraverso un passaparola, siamo risalite alla persona. L’abbiamo contattata per sapere se potevamo incontrarla per capire il contesto in cui l’aveva visto. Al nostro arrivo, nel vedere delle foto di papà, non finiva più di scusarsi e di dire che era lui. Questa persona peraltro ha perfettamente descritto il materiale di cui erano fatte le calzature di papà: noi non lo abbiamo mai reso noto. Purtroppo dall’avvistamento alla segnalazione erano passati tre giorni. Alla nostra domanda del perché non avesse segnalato, anche nel dubbio, ha risposto che il marito le aveva detto di non mettersi in mezzo a queste cose».

Come un familiare vive questa continua tensione generata dalle segnalazioni?

Angela e Stefania: «Inizialmente è come essere legati ad un elastico: appena provi ad andare avanti qualcosa ti tira indietro. Non fai programmi perché tutto ruota attorno alle possibili segnalazioni, quindi si deve essere pronti a partire per andare a verificare. La segnalazione ha, inoltre, un duplice aspetto: da una parte è la speranza che possa essere la volta in cui lo si trova e dall’altra è un rivivere costantemente tutto. Nonostante questa ambivalenza, un familiare spera possano arrivare sempre delle segnalazioni da verificare».

Grazie a questa esperienza siete entrate a far parte dell'associazione Penelope che raccoglie i familiari degli scomparsi: di cosa hanno bisogno le famiglie nell'immediatezza e nel lungo periodo?

Angela e Stefania: «Nell’immediatezza, sicuramente c’è bisogno della corretta attivazione delle ricerche sia in termini di tempestività che di modalità adottate; che non ci siano pregiudizi da parte di chi riceve una segnalazione/denuncia di scomparsa da parte di un familiare o amico dello scomparso: nel momento in cui si chiede aiuto vuol dire che si teme per la persona. La scomparsa volontaria non esiste e se ci si “nasconde” dietro a questo pensiero si innescano dei ritardi che non si recuperano più. Nel lungo periodo ci sarebbe bisogno di una revisione e di uno snellimento della normativa e di tutti gli aspetti burocratici che riguardano la persona come ad esempio il contratto di lavoro, la pensione, eventuali proprietà, ecc., nonché la necessità di un avvio certo della gestione della banca dati del dna per una comparazione in caso di necessità. Per la gestione di questi aspetti, la nostra famiglia ha avuto la fortuna di conoscere ed essere seguita dall’avvocato Sossio Vitale che tuttora per noi è un supporto essenziale».

Secondo voi è stato commesso qualche errore nelle ricerche di vostro papà?

Angela e Stefania: «In prima battuta, così come abbiamo appreso negli anni successivi, non aver messo in atto nell’immediatezza il piano di soccorso presente al tempo in Alto Adige; averla considerata come una scomparsa volontaria nonostante avessimo messo a disposizione la cartella clinica e gli specialisti che stavano seguendo papà; non aver visionato nell’immediatezza le telecamere presenti nel centro a San Candido e non aver sentito tutti i testimoni dei primi giorni; aver organizzato delle ricerche ad ampio raggio nella zona della scomparsa dieci giorni dopo. Non sono stati i soli, ma questi hanno probabilmente un peso maggiore perché legati alle fasi iniziali».

All'epoca avevate fatto ricorso anche ai social in un momento in cui venivano poco usati per questi scopi: quanto è importante far conoscere la vicenda e tenere viva la memoria?

Angela e Stefania: «Fondamentale, perché non sapendo cosa sia accaduto e dove possa trovarsi la persona scomparsa il parlarne, il condividere immagini e il raggiungere il maggior numero di persone diventa una risorsa per il possibile ritrovamento».

Che idea vi siete fatte sul destino di vostro papà?

Angela: «Ho ben presente la sensazione provata scendendo dalla montagna la settimana successiva alla scomparsa: lasciando alle spalle San Candido, ho avuto la sensazione di abbandonarlo lì. Nonostante questa sia la percezione prevalente, allora come adesso, non posso non prendere in considerazione anche le altre possibilità e cioè che possa essere vivo e aiutato da qualcuno».

Stefania: «Ad oggi non riesco ad avere un’idea chiara: può essere vivo o morto. Sicuramente per il tempo trascorso, razionalmente dovrei essere portata a pensarlo morto. Ma non riesco, o semplicemente non voglio».

Da allora sono passati 16 anni: come si sopravvive a un simile dolore che non ha ancora un punto fermo?

Angela: «La mamma e il papà mi hanno sempre insegnato a guardare il lato positivo delle cose. Per quanto sia difficile trovarlo in questa situazione, ogni volta che vengono in mente il senso di colpa e la paura per non aver fatto abbastanza, la rabbia per la superficialità delle persone incontrate soprattutto nelle prime fasi, la necessità di mettere un punto a questo capitolo, penso ad alcune persone meravigliose con cui mi sono messa in contatto, che ho conosciuto e che sono entrate a far parte della mia vita, conseguentemente alla scomparsa di papà».

Stefania: «Lentamente, ma mai completamente, si va avanti ed è giusto sia così. Personalmente una parte di me è ferma a quel mercoledì sera e ai giorni successivi e da lì non si schioda. Vorrei poter rivivere quei giorni con l’esperienza di oggi per essere più consapevole di quello che si sarebbe dovuto fare e pretendere venisse fatto e non dare fiducia a priori; l’altra parte di me ha imparato a convivere con il senso di colpa per non essere stata in grado di tutelare papà e a rimettersi in piedi. Penso di esserci riuscita in primis grazie a mia mamma e a mia sorella Angela. In questi 16 anni ho avuto la fortuna di avere accanto delle persone che mi hanno considerata Stefania figlia di Mario e non Stefania figlia di uno scomparso. Sembra una banalità ma questo mi ha fatto capire che loro vedevano me, la mia persona e non un’etichetta. Il dolore non svanisce ma in parte si trasforma in forza».

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