Legge sul fine vita volontario: domenica il referendum in Slovenia
La consultazione promossa con 40 mila firme da partiti e associazioni che si oppongono alla norma: non è previsto il quorum ma servono 339.205 voti

Posizioni diametralmente opposte in un Paese diviso, discese in campo di pezzi grossi, appelli sentiti, polemiche e controversie. È lo scenario che precede un voto importante, in Slovenia, Paese che domenica andrà alle urne per l’attesissimo referendum sul fine vita volontario, che dovrebbe confermare o abrogare la legge approvata l'estate scorsa, messa nel mirino da gruppi conservatori “pro-life”.
Gli sloveni, ricordiamo, sono stati richiamati al voto dopo il successo – più di 40mila sottoscrizioni – di una raccolta di firme a favore del referendum, iniziativa la cui anima sono stati l’attivista Aleš Primc e la cosiddetta “Coalizione contro l’avvelenamento dei pazienti”.
Nel mirino c’è l’avanzata legge – fortemente voluta dal governo guidato da Robert Golob – che prevede la concessione del diritto al fine vita volontario ad adulti le cui condizioni di salute gravissime siano dichiarate irreversibili o la cui sofferenza sia divenuta insopportabile. Stringenti le regole previste dalle autorità di Lubiana, con svariati passi obbligati e permessi accordati da medici e psicologi prima di ottenere luce verde per porre fine volontariamente alla propria vita.
«Siete a favore dell’applicazione della legge sul fine vita assistito approvata dall’Assemblea nazionale nella sessione del 24 luglio 2025?», è il quesito cui dovranno rispondere gli elettori. Non c’è quorum, ma per abolire la legge dovranno votare per il no almeno 339.205 cittadini.
I fronte del sì e del no si sono dati battaglia, negli ultimi giorni. Fra gli oppositori della legge, oltre naturalmente ai promotori del referendum, il Partito democratico (Sds) dell’ex premier Janez Janša e Nuova Slovenia (NSi), oltre ai Democratici, appoggiati da svariate associazioni di medici che hanno sostenuto che le norme sarebbero state scritte male e dunque lascerebbero spazio a potenziali abusi. Inoltre la Slovenia dovrebbe prima puntare a normare «le cure palliative» e solo questo passo garantirebbe reale possibilità di scelta.
Definire un livello limite di «insostenibilità del dolore» sarebbe difficile, hanno fatto eco gruppi che rappresentano parte dei camici bianchi sloveni. «I nostri valori professionali e cristiani ci impongono una cura speciale per i più vulnerabili», la posizione dell’Associazione dei medici cattolici, che ha obiettato che la legge sarebbe contraria al compito primario del personale sanitario, cioè assistere i malati anche se terminali.
Aiutare chi sta male ed è prossimo alla morte non deve essere sinonimo di suicidio assistito, bensì di «diminuzione del dolore e conforto umano», è la posizione delle maggiori istituzioni religiose in Slovenia, dalla Chiesa cattolica a quella serbo-ortodossa, alla luterana, fino al muftì Nevzet Porić. Chiesa di Roma che è al centro di polemiche, dopo aver lanciato un appello ai credenti a votare contro la legge.
Fra gli episodi controversi, anche un video prodotto con l’Ia che mostra il premier Golob e l’ex presidente Kučan, entrambi schierati sul fronte del sì, somministrare un’iniezione letale a un paziente. Il fronte del sì include i partiti di governo, Movimento Libertà, Socialdemocratici e Levica, ma anche il Partito pirata, filosofi del calibro di Slavoj Žižek e associazioni come Nastro d’argento, una delle anime che hanno contribuito alla stesura della legge. E che ribadiscono che le norme sono solo un atto dovuto per permettere a tutti di scegliere, se necessario, una morte dignitosa.
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