Migranti, armi e droga: la via balcanica ai traffici delle mafie
Il Global organized crime index 2025 esamina lo stato di salute delle mafie locali: in Macedonia del Nord e Serbia diffusa la tratta di persone

I controlli sono aumentati e si sono irrigiditi su tutte le frontiere, da anni. Sono pure arrivati i rinforzi di Frontex, l’agenzia Ue per il controllo dei confini, con mezzi, telecamere, droni. E tutti i dati confermano da tempo che la rotta si è praticamente prosciugata, lasciando attivi solo piccoli “rigagnoli”, sempre più pericolosi per i migranti che li percorrono per raggiungere l’Europa.
Ma la Rotta balcanica rimane, malgrado tutto, ancora viva. Ed è ancora una via-chiave per il traffico di droga, di esseri umani e di armi, verso l’Europa più ricca.
Lo svela il nuovo Global organized crime index 2025, strumento sviluppato dalla Global initiative against transnational crime, vera e propria bussola che permette di analizzare lo stato di salute del crimine organizzato a livello globale, Balcani inclusi. E le mafie balcaniche sembrano stare bene, nella loro Tortuga.
Secondo lo studio, la Macedonia del Nord rimane «sorgente, transito e destinazione» nel traffico di esseri umani, in particolare «minori», spesso «oggetto di sfruttamento sessuale online». Arrivano da altri Paesi balcanici, dalla Turchia e dall’Est Europa.
Sempre lucroso il business del trasporto di migranti, che, secondo consuetudine, vengono spinti a entrare dalla Grecia «a Gevgelija», per poi uscire dalle parti «di Kumanovo» in Macedonia del Nord appunto, spesso nascosti su auto e furgoni. Il traffico di armi è «un mercato criminale secondario ma consolidato», «spesso collegato al traffico di droga, all’estorsione e al traffico di esseri umani», si legge nel rapporto. Che conferma poi che Skopje rimane luogo chiave nel transito «dell’eroina da Afghanistan all’Europa occidentale via Turchia».
Situazione più complessa nella vicina Albania, dove il «mercato criminale della tratta di esseri umani è un’impresa consolidata che coinvolge attori sia nazionali sia stranieri». Le mafie locali sono però sempre più impegnate anche «nel contrabbando di armi, rifornendo sia i mercati nazionali sia Paesi vicini come il Kosovo, l’Italia e la Macedonia del Nord». Sul fronte droga, c’è l’imbarazzo della scelta.
Eroina? Tirana è «un hub di transito», in ingresso dal Kosovo e dalla Macedonia, «e seguente distribuzione». Cocaina? «L’Albania è un key player» sul mercato europeo, con mafie locali che lavorano a braccetto con quelle del Sudamerica con «il porto di Durazzo porta d’ingresso» per gli stupefacenti, poi reindirizzati verso l’Europa occidentale. Infine, la cannabis. Che «rimane la droga illecita più diffusa in Albania, mentre la coltivazione nazionale non viene abbandonata nonostante le misure repressive delle forze dell’ordine».
Più a nord, il piccolo Montenegro continua a rimanere fuori dalle rotte migratorie più importanti. Ma il Paese rimane «snodo» in altri traffici illeciti. Sono quelli che riguardano gli stupefacenti in arrivo dal Sudamerica al porto di Bar, senza dimenticare il contrabbando di tabacco e sigarette, un business che sta tornando di moda dopo gli exploit degli anni Novanta.
Neppure la Serbia esce bene dal Crime index 2025, definita come nazione dove «la tratta di esseri umani rimane diffusa, con il Paese che funge da origine, transito e destinazione». E proprio la Serbia, assieme al Montenegro, è casa di gruppi criminali, spesso multietnici, specializzati anche nel traffico di cocaina su larga scala. La Bosnia? Un punto «cruciale» per il traffico di migranti, che «dipendono da passeur» senza scrupoli – mentre «la corruzione tra la polizia di frontiera aggrava il problema, consentendo ai trafficanti di agire impunemente».
Nel Paese, i criminali guadagnano anche esportando «armi smontate» e poi spedite verso l’Europa. E si fanno soldi, sporchi, anche con «il legname tagliato illegalmente» e destinato all’export.
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