La Russia in campo per Dodik: «È l’Occidente a volere la crisi»

Il leader serbo bosniaco vola a Mosca e incassa l’appoggio sul referendum. Lavrov: «Via l’Alto rappresentante». E lo paragona a un governatore nazista

Stefano Giantin
Il presidente della Repubblica Srpska Dodik e il ministro degli Esteri russo Lavrov a Mosca
Il presidente della Repubblica Srpska Dodik e il ministro degli Esteri russo Lavrov a Mosca

Un viaggio, già di per sé controverso, rischia di rappresentare un’ulteriore spinta verso l’escalation attesa in autunno in Bosnia.

È quello del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik – al quale è stato revocato il mandato di presidente della Republika Srpska – sbarcato martedì per l’ennesima volta al Cremlino per chiedere aiuto all’amica Russia nella battaglia per non mollare la presa sul potere, in vista del referendum “autoconfermativo” di ottobre e per ostacolare le elezioni presidenziali di novembre, indette per scegliere il suo successore.

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Milorad Dodik

Mosca sembra avere tutta l’intenzione di non stare a guardare. Lo hanno confermato le parole del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che si è esibito in una pubblica arringa a sostegno di Dodik, promettendo azioni concrete a sua salvaguardia, capaci di scardinare importanti sistemi di “difesa” istituzionale della Bosnia. Per Mosca, Dodik è ancora presidente a tutti gli effetti della Republika Srpska, malgrado la condanna definitiva e l’interdizione per sei anni dai pubblici uffici.

«Condanniamo con forza i tentativi di esautorare leader serbi, non allineati con l’Occidente, fabbricando false accuse nei loro confronti», ha esordito Lavrov, rivolgendosi a Dodik, «nostro amico e legittimo presidente». La cacciata di Dodik, secondo Mosca, sarebbe stata ordita dalle potenze occidentali e messa in atto attraverso uno “strumento” che va rimosso.

Chiaro il riferimento a Christian Schmidt, Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, guardiano del rispetto degli accordi di pace di Dayton. Ma Schmidt sarebbe, per il Cremlino, solo un «gauleiter auto-nominato», la sprezzante definizione di Lavrov, che ha paragonato Schmidt a un alto funzionario nazista.

Ed è «difficile immaginare che in un Paese governato normalmente», un gauleiter imposto dall’esterno «possa usurpare il potere», la temeraria perorazione del titolare della politica estera russa, che ha ricordato come Dodik sia stato condannato per «disubbidienza» verso gli ordini e le decisioni dell’Alto rappresentante.

Come risolvere il problema? Chiedendo alla Russia un aiuto, «nell’ambito del sistema Onu» da cui Schmidt trae mandato, per «chiudere l’ufficio dell’Alto rappresentante, che ha causato il caos totale in Bosnia», ha spiegato Dodik.

Lavrov ha ricordato che, a fine ottobre, la Russia presiederà il Consiglio di sicurezza dell’Onu e potrebbe portare il tema nel consesso. E si dovrà discutere del rispetto di Dayton, dato che «gli occidentali vogliono prendere il pieno controllo» in Bosnia, cercando di «trasformare il Paese in uno Stato unitario con un governo e una magistratura ubbidienti». La crisi in corso rischia di «destabilizzare gli interi Balcani», ha ammonito.

Dopo gli endorsement a Dodik dell’Ungheria di Orbán e della Serbia di Vučić, un altro problematico convitato di pietra è apparso nell’area. I piani di Mosca sulla Bosnia sono stati dettagliati già alla vigilia dell’incontro tra Dodik e Lavrov in un briefing pubblicato online.

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Milorad Dodik e Péter Szijjártó (Epa)

Vi si legge che «Mosca è convinta della necessità di riportare la situazione» in Bosnia «in un contesto democratico e legale. Per farlo, l’Ufficio dell’Alto Rappresentante, che è diventato il principale generatore di problemi, deve essere immediatamente chiuso, il dialogo diretto tra le parti ripreso e l’interferenza occidentale negli affari interni bosniaci fermata».

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