Il silenzio del governo italiano sui venti di guerra a Est

Nessuno spiega all’opinione pubblica se vi sia un reale pericolo di guerra oppure no, perché la premier non ha deciso se stare con Trump o con l’Europa

Carlo BertiniCarlo Bertini
Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky a Palazzo Chigi (foto Afp)
Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky a Palazzo Chigi (foto Afp)

Dice il commissario europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, che «se l’Ucraina si arrende, è inevitabile che Mosca aggredisca l’Unione europea». Dice il portavoce del Cremlino che «è una totale assurdità ipotizzare un attacco della Russia alla Nato». Dice il cancelliere tedesco, Merz, che la Nato è già sotto attacco.

E cosa dice l’Italia? Nulla. O meglio, nulla di ufficiale. Tranne una voce autorevole, come quella del ministro Crosetto, che considera la Russia una minaccia, il vertice politico del governo balbetta. La Lega spera che non si debbano più mandare armi a Kiev e dice che «non esiste una pace giusta», Forza Italia è pronta a morire per Kiev in nome dell’Ue, Meloni sostiene che «se l’Europa vuole essere grande deve difendersi da sola»: ma è contraria a un esercito comune europeo.

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Cosa capiscono gli italiani da questa babele di posizioni? Sentono che i loro figli e nipoti saranno costretti a fare il servizio militare. Ma nessuno si degna di spiegare loro se vi sia un reale pericolo di guerra oppure no.

La grande rimozione regna nel Paese, dove nessuno manifesta per l’Ucraina, dove chi prova a risvegliare le coscienze, come il senatore dem Filippo Sensi con la sua proposta di una manifestazione pro-Kiev, viene silenziato dall’indifferenza del suo partito, il Pd. Una rimozione che cela una paura: che davvero i confini europei e dunque quelli italiani, possano essere violati, che possa materializzarsi lo spettro di una guerra epocale.

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Ma se gli italiani non sanno nulla di preciso, se ai cittadini dei territori più esposti, quelli del nord est che confina con i paesi balcanici, non viene fornita alcuna indicazione su come regolarsi in un tempo di massima incertezza, è perché la premier non ha deciso se stare con Trump o con l’Europa.

Tanto che i tre leader di Francia, Gran Bretagna e Germania – Macron, Starmer e Merz – hanno chiamato il presidente Usa senza coinvolgerla. Ma è il momento di sciogliere il nodo. Beninteso, la scelta di rinviare il decreto che autorizza l’invio di armamenti all’Ucraina nel 2026, predisposto dalla Difesa per il consiglio dei ministri di oggi, svela la speranza che a breve possa cessare l’aggressione russa al paese balcanico. E se per certi versi si capisce questa cautela, anche se andasse in porto un negoziato che assomiglia a una resa, resterebbe la debolezza di un’Europa, scaricata dagli Usa e incapace di “fare paura” a un gigante come la Russia, armato di cattive intenzioni.

Sarebbe dunque il caso che la premier informi il paese sulla direzione da prendere nel momento più buio dalla fine del conflitto mondiale. Specie a fronte di un ministro della Difesa che – lui sì con estrema chiarezza – diffonde documenti sulla guerra ibrida, invoca «un cambio di regole epocale sulle attività militari» e chiama alle armi i giovani. Insomma, tutti vorrebbero saperne di più.

Che notizie hanno i servizi di intelligence? Che tipo di rischi devono affrontare le imprese sul piano della cyber-sicurezza? Che dotazione deve avere l’Italia, visto che il progetto di una difesa europea non decolla? Perché i paesi europei – Germania, Francia, paesi baltici e scandinavi – prendono sul serio la minaccia russa, approntano linee guida e informano la popolazione dei rischi, mentre da noi è come se nulla fosse? La premier ha una buona occasione per dire agli italiani come stanno le cose la avrebbe: mercoledì andrà in Parlamento per le comunicazioni prima del consiglio europeo. Quale migliore consesso?

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