Esami di maturità, una scuola oltre i voti è possibile

Nella scuola il voto resta il protagonista principale: ma il terremoto di chi si è rifiutato di sostenere l’esame orale alla maturità non sarà facile da archiviare

Pier Aldo Rovatti

Gli esami di maturità, da poco terminati, hanno prodotto un sussulto che non sarà così facile da eliminare. Riguarda i voti finali, come vengono “guadagnati” da ogni singolo studente al termine della sua carriera scolastica per poterli utilizzare successivamente nelle università italiane o straniere e nei luoghi di lavoro.

«Avete avuto coraggio»: la lettera di una prof agli studenti che hanno detto no all'orale di Maturità
La redazione
Studenti all’ingresso di un istituto superiore. Alcuni di loro, quest’anno, hanno rifiutato l’orale della Maturità in segno di protesta. Una professoressa prende le loro difese in una lettera durissima contro il sistema scolastico

Apro solo una piccola parentesi per ricordare al lettore di cosa sto parlando: il numero che fa da quota massima è 100, quello che permette il superamento dell’esame di maturità è 60. Questa soglia viene ottenuta da ciascuno studente sommando i voti degli esami finali, scritti e orali, con i cosiddetti “crediti” ottenuti precedentemente anche grazie ad attività esterne alla scuola. In parole semplici: i due “scritti” dell’esame di maturità possono poi aggiungere 40 (20+20), la prova orale può valere 20 punti. Che cosa è accaduto? È successo che qualcuno si è rifiutato di affrontare la prova orale avendo già raggiunto i 60 punti necessari per considerare superato l’esame di maturità.

Esame di Maturità, la scuola non è competizione
Gianpiero Della ZuannaGianpiero Della Zuanna
Esame di maturità: la scuola non deve essere un luogo di competizione

Questo ha prodotto un piccolo “terremoto”, al quale si sta cercando in fretta di mettere riparo con provvedimenti ad hoc. È interessante capire perché un simile sussulto preoccupi tanto. Direi che la parola chiave è “voto”, e che non sembra accettabile che i voti vengano sottovalutati, anzi sviliti, al punto da non essere più ciò che regge tutto l’edificio scolastico.

Chi ha lanciato il sasso – diciamo pure la “sfida” – ha fatto capire che potrebbe non essere vero che la scuola stia in piedi grazie alle interrogazioni e ai giudizi conseguenti da parte dell’insegnante. Ma, a partire da qui, potremmo approfondire questo “no”, includendovi anche le valutazioni sulle parole scritte negli elaborati. Mi chiedo, insomma, se non sia il caso di spingerci oltre il disagio di un confronto faccia a faccia con l’insegnante e di chiederci, una volta per tutte, se il voto numerico debba restare il pilastro principale dell’istituzione scuola.

Non bastano le premure messe in atto in tempi recenti perché il voto che viene attribuito in classe non abbia accesso generale: è un provvedimento che trova le sue ragioni di privacy, ma che nel complesso non cambia la scena. Nella scuola il voto resta il protagonista principale, quello che alla fine compare sul palcoscenico suscitando applausi o silenzi tristi.

Perciò l’episodio attuale non sembra tanto secondario né così facilmente archiviabile, anche se presenta aspetti contraddittori. Come possiamo archiviare un’ulteriore denuncia secondo cui la scuola non può reggersi su questa vuota numerazione che chiamiamo voto? Forse non dovremmo continuamente tornare a tale questione, tuttavia sembra inutile andare a sbattere lì la testa, quasi che la votazione sia irrinunciabile e dunque che senza i voti la scuola non starebbe in piedi.

Ma come? Non abbiamo gli occhi per vedere che è l’intera società, nella quale affannosamente tutti respiriamo, che si regge sull’idea stessa di voto (mondo politico non del tutto escluso, anche se lì il singolo voto indica in apparenza solo i nomi, senza dare i numeri). La scuola – se volesse essere quell’esempio di vita civile che potrebbe rappresentare – dovrebbe funzionare nel senso opposto, cioè porsi come obiettivo un’educazione critica dei giovani: spiegare loro che il voto rappresenta il contrario di questa educazione civile e critica, insomma mettersi di traverso rispetto alle continue restrizioni dei nostri modi di stare assieme e fare comunità.

Qualche volta accade, ma sono esempi che appunto costituiscono eccezioni. Meno eccezionali – forse – sono le modalità con cui le classi di studenti riconoscono se stesse al di là dei meccanismi valutativi, insomma superando la barriera dei voti. Chi organizza il mondo scolastico potrebbe almeno accorgersi che l’“amicizia” che si produce tra gli studenti ha poco a che fare con la macchina dei voti.

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