Una rinuncia per sperare nella pace

Ebraismo, Cristianesimo e Islam in Italia lanciano un appello per fermare la guerra tra Israele e Palestina. Ma senza rompere il legame tra fede e potere politico, il conflitto non finirà mai

Vincenzo MilanesiVincenzo Milanesi
Manifestazione pro Palestina in Italia
Manifestazione pro Palestina in Italia

Mentre continua la mattanza dei palestinesi affamati e girano folli proposte di deportazioni per fare di Gaza la «riviera della Palestina», autorevoli rappresentanti delle tre religioni abramitiche, Ebraismo, Cristianesimo e Islam, in Italia uniscono le voci per chiedere che si arrivi finalmente alla pace. Ma come è possibile che dallo scontro senza fine tra due popoli in guerra tra loro ormai da decenni, la fede di ciascuno dei quali rimanda a due di quelle religioni, l’Ebraismo e l’Islam, possa nascere un percorso di pace?

La pacificazione in quella terra bagnata da tanto sangue, sin dai tempi delle Crociate per liberare i luoghi santi dal dominio musulmano, passa attraverso un compromesso che comporta una rinuncia: quella dell’esclusivo possesso di quella terra, abbandonando la lotta attraverso il riconoscimento reciproco del diritto dell’altro a convivervi in pace. Su questa base l’Onu aveva fatto nascere lo Stato di Israele alla fine della Seconda guerra mondiale.

Solo dopo inutili conflitti conclusisi con una loro sconfitta, alcuni Stati arabi sono giunti al compromesso del riconoscimento del diritto di Israele, sancito dalla comunità internazionale, a vivere in una parte della Palestina. Ma altri attori sulla scena del Medio Oriente, fazioni fondamentaliste islamiche presenti nello stesso mondo palestinese e alcuni Stati musulmani altrettanto fondamentalisti, quel riconoscimento non lo hanno accettato, continuando la lotta contro Israele attraverso il terrorismo. E in Israele, ormai divenuto anch’esso Stato confessionale, è cresciuto un estremismo messianico di matrice religiosa che predica l’impossibilità di vivere in pace con i palestinesi e pretende il controllo di tutta la Palestina, compresa Gaza e la Cisgiordania ormai piena di colonie ebraiche nei territori destinati a dar vita allo Stato palestinese.

Un corto circuito tra fede religiosa e azione politica è all’origine della tragedia attuale. Solo rompendolo si potrà arrivare a una qualche forma di pacificazione. Sarebbe dunque necessario che della fede dei credenti non si faccia più uso strumentale da parte della politica ispirata dal fondamentalismo religioso.

Gli Stati laici nati in Occidente dopo le guerre di religione iniziate nel ’500 con la Riforma tra protestanti e cattolici, hanno saputo separare politica e religione, Stato e Chiesa: ormai liberi da ogni confessionalismo, hanno indirizzato altrove la loro volontà di potenza, che ormai nulla più aveva a che fare con il primato di una fede sull’altra. È iniziata l’epoca dei nazionalismi, prima patriottici, nell’Ottocento, poi degenerati nei nazionalismi imperialistici che hanno originato le due Guerre mondiali

Solo rinunciando all’ipoteca confessionale dei fondamentalismi religiosi sui governi degli Stati in Medio Oriente, sia in quelli musulmani sia, ormai, nello stesso Stato di Israele, separando politica e religione, i nobili appelli che negli Stati laici dell’Occidente si levano per la pace dai rappresentanti delle tre religioni abramitiche potranno avere un senso. Ma sarà mai possibile quella rinuncia? —

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