Elezioni regionali, guerra di potere mentre i giovani veneti scappano

Qui si continua a trattare università, politecnici e business school come entità marginali, non come motori della crescita

Giulio BuciuniGiulio Buciuni
Il Veneto al voto
Il Veneto al voto

Mancano meno di tre mesi alle elezioni regionali in Veneto e il centrodestra, che governa la Regione da decenni, non ha ancora un candidato. Una situazione surreale, quasi imbarazzante. Mentre a Roma si consumano calcoli e veti incrociati, qui nessuno pare preoccuparsi di quale visione serva al Veneto per i prossimi anni. Come se la guida di una regione che da sola vale un decimo del Pil nazionale fosse un dettaglio marginale.

Eppure, mai come oggi il Veneto avrebbe bisogno di politica vera. Non di liturgie di partito, ma di una strategia industriale, educativa e finanziaria che affronti la maturità, ormai evidente, del modello su cui abbiamo costruito il nostro sviluppo.

Il primo punto, colpevolmente assente dal dibattito, riguarda l’istruzione superiore. In un mondo dove la competitività si misura sulla densità di capitale umano qualificato, il Veneto continua a trattare università, politecnici e business school come entità marginali. Eppure la letteratura internazionale (da Enrico Moretti a Mariana Mazzucato) dimostra come i territori manifatturieri che hanno saputo reinventarsi sono quelli che hanno puntato su laureati, ricerca applicata, incubatori e acceleratori capaci di trattenere i talenti e attrarne di nuovi. È questo l’innesco per ecosistemi innovativi, in grado di moltiplicare imprese ad alto contenuto tecnologico.

In Veneto, invece, il capitale umano migliore parte e raramente torna. Continuiamo a perdere cervelli formati a caro prezzo, senza avere il coraggio di investire seriamente su due pilastri: un massiccio potenziamento delle discipline Stem (motore degli ecosistemi tech nel mondo) e l’urgenza di elevare le diverse scuole di business regionali in un’unica business school di standing internazionale. Una regione con il peso economico del Veneto deve saper esprimere una business school che parli alle grandi business school globali e che sia riconoscibile nelle reti internazionali dove si forma il management che guida l’economia mondiale.

Il secondo tema è il ricambio del tessuto produttivo. Non possiamo continuare a raccontarci che il futuro del Veneto stia tutto nella difesa del manifatturiero tradizionale. Quel modello ha dato il meglio ma oggi mostra segni di affanno: frammentazione, scarsa produttività, difficoltà a competere sui salari. La sfida è attrarre investimenti diretti esteri e promuovere imprese plug-in, capaci di collegare il Veneto alle catene globali della conoscenza. Senza questo innesto, il rischio è di condannarci a un lento declino, fatto di subfornitura a basso valore e turismo a basso salario.

Invece di sventolare slogan sull’«eccellenza del Made in Italy», sarebbe ora di costruire strumenti concreti: zone franche per startup tecnologiche, fondi regionali di venture capital, programmi di co-investimento con grandi player globali. Solo così si può far crescere una nuova generazione di imprese in grado di dialogare con i big della tecnologia, della finanza e della ricerca internazionale.

Oggi, in Veneto, non discutiamo di niente di tutto questo. Non si parla di higher education, non si parla di nuova imprenditorialità, non si parla di politiche industriali. La politica si limita a gestire l’ordinario, convinta che tanto la regione cammini da sola. È un’illusione pericolosa. Lo dice la demografia, con la perdita di giovani e il progressivo invecchiamento della popolazione. Lo dice l’economia, con una crescita che da vent’anni non supera la media nazionale.

In questo scenario, l’assenza di un candidato non è solo una farsa politica: è il sintomo di una classe dirigente incapace di pensare il futuro. La vera domanda da fare a chi si candida a governare il Veneto non è «chi sei» o «da che corrente arrivi», ma quale idea di politica industriale proponi per una regione che ha bisogno di reinventarsi? Quale piano hai per università, poli tecnologici, imprese innovative?

Finché queste domande resteranno fuori dal dibattito, il Veneto continuerà a vivere di rendita, consumando lentamente il patrimonio di sviluppo accumulato nel Novecento. Ma il tempo è scaduto. Servono scelte, servono strategie, serve il coraggio di guardare oltre la nostalgia industriale. —

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