Busta paga, ma non solo: come attrarre talenti in fuga
Mentre tanti laureati emigrano all'estero, le aziende non trovano personale. Le strategie per affrontare il fenomeno

Laureati che se ne vanno all’estero. Imprese che a Nord Est fanno sempre più fatica a reperire personale qualificato. E uno scenario di grave crisi demografica, che prelude all’acuirsi di questi problemi. La soluzione? Un rebus.
Come aumentare l’attrattività delle aziende? Come incrementare produttività e competitività se i talenti dicono “grazie, arrivederci” e trasferiscono le loro competenze acquisite nelle università italiane negli Stati Uniti o negli altri Paesi europei? Un robusto welfare aziendale, possibilità di rapida crescita professionale, retribuzioni adeguate, tassazione meno opprimente.
Questi i principali strumenti, secondo il parere di imprenditori e studiosi, che potrebbero indurre i giovani a restare negli uffici e nelle fabbriche nordestine. E ad evitare che la macchina produttiva di Veneto e Friuli Venezia Giulia, già locomotiva dell’industria italiana, perda colpi.
Numeri impietosi
Il quadro non è rassicurante. E il report della Fondazione Nord Est sulla fuga dei cervelli non lascia adito a interpretazioni. Se nel 2011 - un’era geologica fa - avevano scelto di trasferirsi all’estero 1.729 veneti e 537 friulani e giuliani, nel 2024 sono stati 7.344 veneti e 1.587 friulani e giuliani.

In tutto il Nord Est nel 2011 avevano fatto i bagagli in 4.062, l’anno scorso in 16.367, quattro volte tanto. Un dato impressionante, che ha visto una crescita continua negli anni e che nell’ultimo biennio si è addirittura accentuata. Nel periodo di tempo considerato, dal Nord Est sono emigrate oltre 130 mila persone in età lavorativa. È come se avessimo perso una città grande quanto Ferrara.
Ma non si tratta solo di un mero bilancio quantitativo. Perché se nel 2011 solo il 18,3% di chi espatriava aveva una laurea o un master, nel 2024 tale cifra è stata addirittura del 46,4%, quasi uno su due. Logica conseguenza, l’ormai cronica difficoltà delle industrie a trovare figure lavorative adatte alle loro esigenze. E tra le 10 province italiane che hanno maggiori problemi in questo senso, le prime quattro sono nordestine, ovvero Pordenone, Bolzano, Trento e Gorizia, con Belluno e Udine al sesto e settimo posto.

Tra le regioni primato negativo per Trentino Alto Adige seguito dal Friuli Venezia Giulia, con il Veneto al quinto posto: tutte regioni dove la difficoltà di reperimento di tecnici, informatici, ingegneri, amministrativi, manutentori, operai specializzati, supera ampiamente il 50%.
Marco Sartor: welfare prioritario
«È un tema complesso», mette le mani avanti il docente di Ingegneria dell’università di Udine Marco Sartor, delegato del rettore per il placement: «I giovani laureati sono molto diversi dai loro colleghi che adesso hanno 50 anni o giù di lì. Le esigenze sono cambiate, la retribuzione, per esempio, è solo uno degli elementi che vengono valutati quando si deve esaminare un’offerta di lavoro. Si guarda principalmente al welfare aziendale, a tutto quello che le aziende mettono a disposizione dei dipendenti - polizze sanitarie, contributi per lo sport, opportunità per buoni pasto o benzina, aiuti alle coppie con figli, asili nido e quant’altro - ma anche flessibilità oraria, che non vuol dire solo smart working».
A far pendere il piatto della bilancia sulla decisione di partire c’è anche l’imposizione fiscale. «In Italia il costo del lavoro è altissimo, è molto pesante per le aziende - aggiunge Sartor - che magari pagano retribuzioni lorde elevate, ma poi in tasca al dipendente resta poco, il cuneo fiscale ha un suo peso. In Svezia, per esempio, l’imposta massima è del 35% con un sistema di welfare pubblico e privato molto più evoluto rispetto all’Italia, dove l’aliquota massima è del 43%».
Sartor ritiene però che qualcosa, nelle imprese, si stia muovendo per trattenere le risorse migliori. «Le aziende che monitoro stanno evolvendo rapidamente - dice, - stanno pensando a essere sempre più efficaci nell’attività di reclutamento, non vedo un tessuto industriale rigido e fermo. Abbiamo esempi di aziende che in pochissimi anni hanno migliorato la vita dei loro lavoratori in modo incredibile e sono state premiate. Ritengo che sarà il mercato del lavoro stesso a regolare la materia, a costringere a evolvere le realtà più pigre, che restano indietro. Sarà un processo naturale: chi non si aggiorna, non troverà più personale».
Zoppas: creare un ecosistema
«Saremo più competitivi a livello globale se applicheremo le ricette giuste - dice Federico Zoppas, presidente della Rir Air (Rete innovativa regionale Aerospace, innovation & research) e managing director di Zoppas Industries - . Basti pensare che, secondo uno studio di Boston Consulting, il potenziale dell’economia dello spazio in Veneto è stimato in 4,5 miliardi entro il 2040 e porterà alla creazione di 2.400 nuovi posti, compreso l’indotto. Le opportunità di lavoro gratificante ci sono anche da noi.
Dobbiamo concentrarci su quello che vogliamo fare, che non deve essere caratterizzato, come in passato, dal concetto del “costo meno”. Dobbiamo piuttosto lavorare a un ecosistema tra atenei, Regione e industrie, così potremo essere nuovamente attrattivi per i giovani talenti. Le aziende dovrebbero anche essere più presenti nelle università e nei centri ricerca per farsi conoscere dai loro potenziali dipendenti di domani.
Oggi sono i giovani che scelgono le aziende, se non viene proposto loro un pacchetto di opportunità, non solo collegato a una questione economica, ma anche a una strategia di crescita, a un piano di sviluppo delle persone, welfare, sostenibilità ambientale, non si riuscirà a catturare l’attenzione del talento. E poi è indispensabile dimostrare che tutto quello che si è promesso viene mantenuto. Molto spesso in Veneto, noi imprenditori, abbiamo avuto un approccio opportunistico ai mercati, in un’ottica improntata appunto al “costo meno”.
Ecco, mio padre Gianfranco Zoppas è stato uno dei primi che questo concetto lo ha abbandonato, portando avanti invece visione e cultura aziendale. Se i neo laureati fanno un’esperienza all’estero, ben venga, ma poi dobbiamo essere bravi a farli tornare, perché altrimenti sarebbe un fallimento».
Scarpa: serve una riflessione
«Molti giovani prendono la strada dell’estero perché imprese e sistema non riescono a costruire un’esperienza lavorativa che li motivi - osserva Germano Scarpa, presidente della friulana Biofarma - . Il sistema dovrebbe fare delle riflessioni: negli Stati Uniti, per esempio, ci sono spazi che qua non esistono. È necessaria una discussione sincera, tra mondo economico e istituzioni, per capire come rimediare. Dobbiamo avere la capacità di attirare i giovani con progettualità, con un lavoro che può dare loro da subito delle responsabilità, fiducia e possibilità di crescere.
C’è anche un discorso di retribuzione, ovviamente, che in Italia è inferiore rispetto ad altri Paesi. Lo smart working? Rientra nell’ambito della fiducia, se hai un progetto da portarmi entro una certa data e me lo porti, non importa se tu non sei sempre stato in ufficio. La carenza di talenti incide sulla competitività delle aziende, se hai persone valide crei nuovi prodotti, hai una spinta diversa. Non è che chi rimane è mediocre, ci sono tanti collaboratori validi, ma ne servirebbero di più. Almeno il 70% di chi fa un’esperienza all’estero, dovrebbe poi tornare».
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