Il porto di Trieste al bivio tra futuro e dossier irrisolti

Dopo il decennio della presidenza di Zeno D’Agostino toccherà a Marco Consalvo assumere la guida dello scalo. Numerosi i nervi scoperti dopo 500 giorni di ordinaria amministrazione dai container ai cantieri del Pnrr

Diego D'Amelio
Un’immagine dal mare del Molo VII del Porto di Trieste
Un’immagine dal mare del Molo VII del Porto di Trieste

Oltre 500 giorni di commissariamento, senza un presidente nel pieno delle funzioni. Lo stallo verrà finalmente superato con l’imminente nomina di Marco Consalvo alla guida dell’Autorità di sistema portuale di Trieste e Monfalcone.

 

 

Il manager napoletano eredita una realtà solida, dove si comincia però a sentire più di qualche scricchiolio, dopo questo anno e mezzo di precarietà gestionale. Oggi lo scalo giuliano si trova davanti a un bivio fra un colpo d’ala che riprenda il percorso di sviluppo impresso nell’ultimo decennio o un mesto ritorno alla mediocrità.

Marco Consalvo
Marco Consalvo

Un decennio

Durante la presidenza di Zeno D’Agostino, il porto ha conosciuto la sua rinascenza e ritrovato la storica funzione di scalo mitteleuropeo, dopo un secolo di relativo declino seguito ai fasti asburgici. I terminal previsti dal Piano regolatore sono stati assegnati a concessionari affidabili, dalla Piattaforma logistica della tedesca Hhla all’area ex Aquila che Budapest presenta come futuro sbocco al mare dell’Ungheria. In questi dieci anni i traffici sono aumentati e si sono aperte vie nuove, come la connessione con l’Egitto che il governo vorrebbe raddoppiare, per non dire dell’ipotesi Imec.

Trieste è arrivata a toccare un volume merci containerizzate pari a oltre 850 mila Teu (erano 500 mila nel 2015), mettendo nel mirino il milione di Capodistria e mantenendo nel contempo in ottima salute due altri asset fondamentali come l’autostrada del mare con la Turchia e il più importante terminal petrolifero del Mediterraneo. Poi c’è il record nazionale in ambito ferroviario: 10 mila convogli partiti e arrivati in un anno, grazie a un network di collegamenti di cui gli operatori hanno cominciato ad accorgersi, guardando a Trieste come un’alternativa ai porti del Nord Europa per raggiungere il cuore del continente.

I numeri

In questi anni, su aree portuali e ferrovia sono stati attratti investimenti per oltre 2 miliardi, quasi equamente divisi fra pubblico e privato. Di questi, 400 milioni arrivano dal Pnrr: uno stanziamento che per la prima volta rivaleggia con Genova. Il sistema portuale supera i 4 miliardi di fatturato (+20% in 5 anni) e dà lavoro a 15 mila addetti, un terzo nell’indotto regionale. Limitandosi ad Adsp e terminalisti, si registrano oltre 1.600 portuali e 400 amministrativi (+40% in 5 anni), nonché 1.500 unità fra agenzie marittime e case di spedizione.

Il modello

Il modello D’Agostino si è basato su driver precisi: l’accento sul ruolo della ferrovia, l’idea di un retrobanchina costituito dagli interporti regionali, l’importanza assegnata alla gestione pubblica delle strategie e un costante lavoro di promozione all’estero del sistema Trieste, dove si sono affacciati soggetti come il porto di Amburgo, il governo ungherese, British American Tobacco e Duisport. Non casualmente il manager veronese è arrivato a ricoprire il ruolo di presidente di Espo, l’associazione internazionale dei porti eropei. Una capacità di leadership giocata anche sul territorio, creando una spinta allo sviluppo trasversale sul piano delle appartenenze politiche.

Il rallentamento

Il vento ha cominciato a girare proprio poco prima delle dimissioni di D’Agostino, arrivate sei mesi prima della scadenza naturale. Il più importante progetto Pnrr, ovvero la conversione dell’ex Ferriera di Servola in terminal ferroviario a servizio del futuro Molo VIII, si è incagliato nelle complesse pratiche autorizzative e con esso 180 milioni di risorse pubbliche, cui si affianca il partenariato pubblico privato da 316 milioni (oltre 200 messi dallo Stato) approvato per il primo lotto del Molo VIII.

Sul versante dei traffici è invece andato in difficoltà il comparto container. E non per la crisi del canale di Suez, che ha lasciato indenni i porti adriatici contro le previsioni iniziali, ma per l’annunciata rottura dell’alleanza fra due armatori come Msc e Maersk, corrisposta alla creazione di un nuovo terminal nel porto croato di Fiume per mano della stessa Maersk. Lo spostamento dei flussi potrebbe significare a fine anno per Trieste un meno 30% dei volumi nel comparto.

Gli ultimi dati diffusi dall’Adsp sono quelli del primo semestre. Stabile il tonnellaggio complessivo (-0,21%), trainato dal greggio, che vale due terzi dell’intero volume del porto. In crescita i traghetti ro-ro (+5,28%), con la nuova rotta egiziana ma soprattutto la novità della contesa commerciale fra gli armatori Dfds e Grimaldi. Stabili i treni (-0,78%), in un ambito come quello ferroviario dove il porto ha risentito delle interruzioni per lavori sulla linea dei Tauri. Quanto alle crociere, i passeggeri a fine anno saranno 450 mila, dopo il record di 517 mila del 2024.

La difficile eredità

La nomina di Consalvo è imminente. L’ad di Trieste Airport raccoglierà il testimone non solo di D’Agostino, ma dei tre commissari straordinari succedutisi in questi 500 giorni di vacatio, non senza colpi di scena. Dopo un anno di gestione affidata a Vittorio Torbianelli, l’ente è passato ad Antonio Gurrieri, costretto a dimettersi a un passo dalla nomina a presidente per un’inchiesta giudiziaria su presunto riciclaggio attraverso società estere, beneficiarie di cospicue somme di danaro per consulenze. Da agosto l’Adsp è affidata a Donato Liguori, direttore del ministero dei Trasporti delegato ai porti, inviato a Trieste per la gestione ordinaria e per dare un segnale sulla necessità di tornare a un’amministrazione senza ombre.

I dossier aperti

La scrivania che Consalvo troverà nel grande studio presidenziale in Torre del Lloyd sarà ingombra di un’alta pila di dossier. Il nuovo presidente ha già detto di voler sbloccare i fondi del progetto di Servola e il viceministro Edoardo Rixi si è pubblicamente impegnato a rivedere i tempi di realizzazione. Restando sulle opere, Consalvo dovrà anche imporre ritmo ai piani di raddoppio della capacità ferroviaria del porto, mentre Capodistria si avvia a ultimare il nuovo binario. E poi ci sono gli interporti da far funzionare meglio, a cominciare dal polo strategico di Cervignano, mentre richiederà attenzione lo sviluppo di Monfalcone.

Gli armatori

La partita forse più delicata è però quella dei rapporti con i grandi operatori. Consalvo andrà a Ginevra per ottenere che Msc reintroduca il servizio transoceanico che manca dalla rottura con Maersk? E che posizione prenderà rispetto al fatto che il colosso della famiglia Aponte non controlla solo il Molo VII, ma ha voce in capitolo anche sul futuro Molo VIII dopo l’Opa sul 49% di Hhla? Senza dimenticare la diplomazia necessaria per mediare tra Dfds e Grimaldi, con l’armatore napoletano che ha dichiarato guerra aperta al concorrente danese sulle tratte turche: una competizione che può aumentare i volumi dello scalo, ma anche creare scosse sul fronte occupazionale, mandando in frantumi la pace sociale.

Le altre partite

Il resto dei nodi li ha toccati Consalvo stesso durante le audizioni alle Camere. Laddove ha sottolineato l’importanza della digitalizzazione dei traffici portuali, riconosciuto che bisogna aprire un ragionamento sulla sostenibilità delle crociere in centro città, espresso la volontà di tornare a battere sul riconoscimento dell’extradoganalità del Porto franco e manifestato l’ambizione di fare di Trieste il primo porto green del Mediterraneo. Non è mancato un passaggio dedicato all’importanza strategica del corridoio Imec fra India, Medio Oriente ed Europa. Senza tralasciare il rapporto con gli stakeholder e la necessità di riportare fiducia e concordia tra gli operatori. —

 

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