Paola Carron: «Fondi europei la regia non sia gestita a Roma»

La presidente di Confindustria Veneto Est in vista dell’assemblea di mercoledì: «Centralizzare le decisioni è lontano dalle reali esigenze delle imprese»

Giorgio Barbieri

«Serve una visione che superi i cicli politici. Le imprese non possono vivere nell’incertezza». A pochi giorni dall’assemblea di Confindustria Veneto Est, in programma mercoledì a Padova, la presidente Paola Carron mette nero su bianco le priorità del sistema produttivo delle province del Veneto orientale. «In un mondo che corre, non possiamo affrontare i cambiamenti con orizzonti da tre o quattro anni: alle imprese servono regole chiare e una visione di lungo periodo», spiega la numero uno degli industriali che anticiperà alcuni di questi temi all’evento “Top 500 Treviso” domani a Montebelluna.

Nei suoi incontri con le imprese del territorio quali sono state le richieste più ricorrenti?

«La prima, senza alcun dubbio, è la semplificazione burocratica. La burocrazia è un costo occulto che pesa sulle imprese più di quanto si pensi. Le nostre stime parlano del 5% del fatturato per le piccole imprese e del 2,5% per quelle più strutturate a causa di procedure troppo complesse, iter lunghi, incentivi difficili da raggiungere. Così si scoraggiano anche le realtà più motivate».

Il secondo tema è quello delle infrastrutture. Di cosa c’è più bisogno?

«Parliamo sia di infrastrutture materiali sia immateriali. Una volta l’imprenditore guardava alla vicinanza con l’autostrada. Oggi deve ragionare allo stesso modo sulla connessione ai data center, perché la transizione digitale e l’intelligenza artificiale generativa richiedono una capacità enorme di raccogliere e immagazzinare dati. In Veneto se ne discute, ma i poli principali nasceranno in Lombardia. Per noi diventa essenziale garantirci un collegamento stabile e veloce. Allo stesso tempo ci sono imprese che attendono fino a due anni per un semplice allacciamento elettrico: così non si resta competitivi».

E l’Europa, rispetto all’intelligenza artificiale, secondo lei come si sta muovendo?

«Siamo partiti mettendo regole, e dal punto di vista etico ci può stare. Ma nel frattempo Stati Uniti e Cina corrono velocissimi. È un divario che rischia di pesare sulla competitività delle nostre imprese. E intanto qui ci concentriamo su manovra di bilancio, dazi, energia: temi importanti, certo, ma non possiamo perdere il treno dell’innovazione».

Il terzo punto indicato dalle imprese è il capitale umano. Perché è così centrale?

«Perché senza competenze tecniche evolute non si va da nessuna parte. Alcuni temono che l’intelligenza artificiale eliminerà posti di lavoro, ma io non la vedo così: con l’andamento demografico attuale, semmai servirà a liberare persone da procedure ripetitive per dedicarle a ruoli più avanzati. Lavoriamo con scuole, università e Its proprio per questo. E cresce anche l’importanza del welfare territoriale, perché trattenere talenti significa rendere attrattivo l’intero ecosistema, non solo l’azienda».

Uno dei dossier più caldi è la Transizione 5.0. Come valuta la situazione?

«Il 5.0 nasce quasi due anni fa, ma inizialmente era quasi inutilizzabile per i vincoli legati ai fondi europei. Confindustria ha lavorato molto per modificarlo: dopo un anno e mezzo sono arrivate semplificazioni che lo hanno reso più accessibile. Non è lo strumento perfetto, ma ha iniziato a funzionare. Lo spiazzamento è nato quando è stato annunciato che i fondi erano esauriti, pur non essendo stati interamente utilizzati. Probabilmente sono stati spostati, ma il punto è un altro: servono regole certe. Le imprese che hanno già caricato i progetti vanno tutelate e serve un ponte verso il nuovo super ammortamento della manovra. Il presidente Orsini è in costante dialogo con il ministero».

Il tema energia continua a pesare. Qual è la situazione?

«Qualcuno ha fatto notare che nella manovra non se ne parla, ma è perché si sta preparando un decreto ad hoc. Di certo abbiamo uno svantaggio enorme rispetto ai concorrenti europei: è come se in una gara di 100 metri si partisse con 50 o 70 metri di ritardo. E il costo dell’energia incide su tutto, anche in settori che non sono energivori. Io, ad esempio, guido un’impresa di costruzioni: l’energia pesa poco direttamente, ma i materiali prodotti da aziende energivore aumentano i loro prezzi, e quindi alla fine il rincaro lo subisco anch’io. Lo abbiamo visto chiaramente dopo l’invasione dell’Ucraina».

Sul fronte dei fondi europei, quali sono le vostre preoccupazioni?

«Per il prossimo settennato i fondi saranno decisivi: quelli del Pnrr si stanno esaurendo. Chiediamo investimenti in infrastrutture materiali e immateriali. Come Confindustria Veneto Est stiamo avviando uno studio socio-economico sulle quattro province per costruire progetti condivisi da proporre alla Regione. A Bruxelles, però, abbiamo percepito la volontà di accentrare la gestione a livello nazionale. Capisco le ragioni, perché alcune regioni non riescono a spendere tutto. Ma il Veneto spende ogni centesimo, e ne spenderebbe di più».

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