Metalmeccanica, oltre 70 aziende in crisi. Nel Nord Est una difficile fine d’anno
In Veneto settore in affanno: 40 tavoli gestiti dalla Regione. In Fvg 35 le imprese che utilizzano la cassa integrazione

La metalmeccanica del Nord Est si appresta a chiudere il 2025 in difficoltà. Sono infatti oltre una settantina le aziende in crisi in Veneto e Friuli Venezia Giulia, con circa 15 mila lavoratori coinvolti. Una situazione che ormai è una costante nel periodo post Covid, complici le vicende internazionali e le transizioni che stanno affrontando le industrie nordestine. E il 2026 non si preannuncia migliore.
In Veneto, secondo le stime della Fiom Cgil regionale, una crisi su due interessa il settore metalmeccanico. Tra gennaio e settembre 2025 sono circa quaranta i tavoli gestiti dall’unità di crisi presso la Regione Veneto per il settore della metalmeccanica, con 10 mila lavoratori coinvolti. «Cause internazionali e nazionali, cui si sommano le transizioni digitale e ambientale stanno penalizzando la nostra industria metalmeccanica, fortemente vocata alle esportazioni – commenta Antonio Silvestri, segretario generale della Fiom-Cgil del Veneto -. A questo si somma la presenza delle multinazionali sul nostro territorio, che senza grossi problemi decidono di delocalizzare altrove, senza chiedersi delle difficoltà che lasciano sul territorio. E per farlo cedono ai fondi il “lavoro” per gestire la chiusura: caso emblematico la Speedline nel Veneziano».
La Fiom-Cgil del Veneto ha fatto la radiografia della situazione delle aziende in crisi. Nel Veneziano troviamo Superjet (120 dipendenti), Costampress (130), Ex Ilva Marghera (50) e Speedline (260) con il bando che scade il 30 novembre, Peg Perego (55) e Dradura (140) per calo ordini (mobilità volontaria e contratto di solidarietà). A Verona c’è Lenze (delocalizzazione e chiusura con 32 lavoratori), alla Ferroli si è chiusa la mobilità volontaria per pensionamenti (550) e adesso c'è Cigo, Riello (si veda l’articolo sotto), mentre resta alta la preoccupazione per il settore termomeccanica.
A Belluno con Edim-Bosch (80 indeterminati e somministrati), Epta Costan Limana (su 157 contratti in scadenza non ne ha prorogati 37), Videndum (ex Manfrotto) con 300 lavoratori in attesa di un incontro con società-sindacati per capire la situazione (a febbraio scade la cassa straordinaria). A Padova si segnala Aghito Zambonini (49) ed Ex Ilva (20 lavoratori a Legnaro), mentre a Vicenza con Acciaierie Valbruna (1500) e Agco Spa (700).
«Serve una politica industriale – aggiunge Silvestri - un esempio è quello che sta accadendo all'ex Ilva. Oppure alla Valbruna, con la provincia di Bolzano che mette in discussione la continuità produttiva, con acciaio essenziale per la produzione veneta. Viviamo molte crisi e sono i lavoratori a pagare, mentre le aziende del settore metalmeccanico stanno registrando utili record. Nel 2023 a livello nazionale i profitti sono stati oltre 30 miliardi. Bisogna legare gli aiuti alle aziende all'obbligo di non delocalizzare dopo averli incassati».
In Friuli Venezia Giulia la situazione non migliora. «Dal Covid in poi viviamo in uno stato di crisi permanente», commenta Pasquale Stasio, segretario Fim-Cisl del Fvg -. «Rispetto a cinque anni fa c'è più incertezza, più instabilità e difficoltà a essere compietitivi a livello globale».
Secondo una stima della Cisl regionale nel settore metalmeccanica, risultano circa 35 le aziende che utilizzano la cassa integrazione, per un numero di dipendenti coinvolti che va dai 4000 ai 4500. «La situazione è allineata al 2024, i dati di quest'anno sembrano reggere – prosegue Stasio -. Le crisi aziendali sono legati ai dazi americani, l'euro forte sul dollaro, la Germania che ha calato nell' export, l'automotive che vive da tempo in difficoltà. In questo modo mancano investimenti e voglia di assumere. Sul 2026 le imprese vanno con estrema cautela a fare previsioni».
Sofferenza maggiore si registra nella provincia di Pordenone e Trieste per la metalmeccanica, con il maggiore numero di persone coinvolte. L'Electrolux è il nome più noto, con il suo indotto, poi la Savio. A Udine troviamo la Bosh, che sta vivendo una crisi molto grave, con quattro società per taglio legno e alluminio; su Trieste l'ex Wärtsila, con 200 persone in cassa integrazione. «Stiamo assistendo ad un arretramento industriale della metalmeccanica regionale, prima del Covid c'era un maggiore fermento», conclude Stasio.
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