Baxi, «Il consolidamento, tocca all’industria»

Alberto Favero, presidente di Baxi: «nelle prossime operazioni meno spazi per i fondi». «Per noi la vera questione è capire come l’Europa intende perseguire la riduzione dei consumi di energia»

Roberta Paolini

Consolidamento del settore e una transizione energetica segnata da regole incerte, idrogeno ancora lontano e pompe di calore in calo dopo il boom degli incentivi. Alberto Favero, presidente di Baxi, traccia le direttrici del settore. Con base nel vicentino, l’azienda fa parte di un gruppo internazionale controllato da una fondazione olandese. Nel 2025 prevede 370 milioni di fatturato e il 60% di export.

Alberto Favero, presidente di Baxi
Alberto Favero, presidente di Baxi

Baxi nasce all’interno di un settore come la meccanica che vede un basso tasso di operazioni straordinarie.

«Baxi rappresenta un’anomalia rispetto a quello che era il panorama della termomeccanica in Italia vent’anni fa: infatti già nel 2009 Baxi ha dato vita, con De Dietrich e Remeha, al Gruppo BDR Thermea, consolidamento che ci ha permesso di essere più competitivi nei nostri mercati di riferimento».

Che evoluzione vedete?

«I consolidamenti nel mercato proseguono, con operazioni sempre più rilevanti, sia in termini di fatturato che di volumi. Fare massa è un concetto che si estende sia al riscaldamento, sia al raffrescamento. Negli ultimi 15 anni nel Triveneto ci sono stati molti assorbimenti: penso all’ex Climaveneta, confluita nel gruppo Mitsubishi, o a Clivet, passata a Midea. Credo che questo processo continuerà. Sappiamo che il gruppo Carrier ha dato mandato per la cessione di Riello e Beretta: si arriverà ad un ulteriore consolidamento e sono convinto che non si tratterà di fondi finanziari, ma di partner industriali, perché la complessità del settore richiede questa tipologia di attori».

Le acquisizioni rispondono più a logiche di mercato?

«Non si compra tanto l’assetto industriale, che ormai tutti hanno, ma il valore dato dai canali di distribuzione, centri di assistenza, rete di installatori, fidelizzazione del cliente».

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Dopo la fine degli incentivi, come si muove il mercato?

«Siamo in piena fase di trasformazione. Il Green Deal ha generato confusione, soprattutto sulle tempistiche e sui paletti fissati a livello europeo. Questo crea allarmismo negli utenti finali e disorienta la filiera. Per noi la vera questione è capire come l’Europa intenda perseguire l’obiettivo di ridurre i consumi energetici del parco edilizio residenziale del 16% entro il 2030, obiettivo impensabile senza incentivi».

E per quanto riguarda l’idrogeno, a che punto siamo?

«Il quadro è ancora molto frammentato. Il Paese che più ci crede è l’Inghilterra, dove a breve forniremo 150 nuove applicazioni. L’Olanda segue, ma con lentezze. In Italia ci sono solo progetti isolati legati al trasporto pesante e all’industria. Nel residenziale non siamo ancora pronti. Le nuove caldaie sono predisposte per accogliere miscele fino al 20% di idrogeno, ma per un utilizzo al 100% servirà tempo. Il problema non è solo la distribuzione – molte reti locali non sono ancora compatibili – ma soprattutto la produzione di idrogeno, che richiede volumi significativi. Le comunità energetiche possono essere un banco di prova, ma per il salto di scala servirà ben altro».

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Come sta andando il 2025?

«È un anno di incertezza. Dopo l’eliminazione degli incentivi un rallentamento era prevedibile. I distributori hanno accumulato scorte nel 2024 e ora smaltiscono i magazzini. A livello di gruppo, però, possiamo contare su una cinquantina di mercati esteri che compensano le difficoltà di altre aree geografiche».

Quali mercati si stanno dimostrando più resilienti?

«La Spagna mantiene le posizioni, la Turchia tiene con un mix di prodotto diverso, la Russia ha ancora una certa tenuta, seppur inferiore rispetto agli anni scorsi. I mercati in contrazione sono Germania, Olanda, Francia e Italia».

Dal punto di vista strategico, vi muoverete ancora con operazioni?

«Sì, ma più nei settori complementari che in quelli core. Due anni fa abbiamo investito nel 25% del capitale di G.I. Holding, attiva nelle pompe di calore commerciali prevalentemente con il marchio Clint. È un segmento fondamentale, perché, con le nuove regolamentazioni, i nuovi edifici dovranno sempre più dialogare con l’elettrico. Stiamo investendo molto in comunicazione, prodotto e formazione. Naturalmente non escludiamo ulteriori alleanze o acquisizioni, ma valuteremo con attenzione eventuali opportunità». —

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