Andrea Illy: «Prezzo del caffè alle stelle per colpa della speculazione»
L’analisi del presidente del gruppo triestino di fronte all’instabilità del mercati: «Per le imprese l’unica strada è rafforzare competitività, efficienza e qualità»

«Oggi il prezzo del caffè non lo fa la terra: lo fa la speculazione. Il raccolto reale gira venti volte sulle borse, e il 90% di chi opera non ha nulla a che vedere con la filiera».
Andrea Illy, presidente di Illycaffè, parte da qui: dal nodo più urgente e più paradossale del momento. Il mercato mondiale del caffè è attraversato da una volatilità senza precedenti, alimentata non da variazioni produttive sostanziali, ma da movimenti finanziari automatici, hedge fund e algoritmi che trasformano una materia agricola in un asset puramente speculativo. In un contesto in cui il prezzo sale oltre tre volte la media storica, la domanda non è più soltanto come proteggere i margini, ma come continuare a garantire qualità, stabilità e futuro ai produttori e all’intera filiera.
È in questa prospettiva che si inserisce il lavoro trentennale di Illycaffè per creare rapporti diretti con i coltivatori, una tracciabilità totale e, più recentemente, la diffusione dell’agricoltura rigenerativa. Un approccio che trova un punto di sintesi nel «Premio Ernesto Illy International Coffee Award», il riconoscimento che da dieci anni celebra i migliori caffè del mondo e orienta le scelte della filiera e che verrà consegnato giovedì 6 novembre a Roma.
Partiamo dall’origine di tutto: il rapporto diretto con i produttori. Come nasce?
«È frutto di un miglioramento continuo. Con alcuni produttori siamo arrivati al punto che realizzano il caffè apposta per noi, con standard qualitativi fuori dal mercato. È una relazione simbiotica: loro ci vendono il meglio della loro produzione e ciò che non arriva a noi ottiene comunque un premio qualitativo e di prezzo. Questo ci ha portato alla tracciabilità al 100%, la base di qualunque sostenibilità».
Quando è iniziato questo percorso?
«All’inizio degli anni ’90, in piena crisi di approvvigionamento dopo un crollo dei prezzi. Da allora abbiamo scelto gli acquisti diretti e il supporto tecnico ai produttori. E da allora cresciamo con un tasso annuo medio superiore al 7%. Mai un’interruzione nella qualità o nella disponibilità di materia prima».
Arriviamo all’agricoltura rigenerativa. Perché questa scelta?
«Per rispondere al cambiamento climatico. Abbiamo sviluppato un modello che rigenera il suolo, riduce l’uso di acqua, preserva la biodiversità, riduce l’inquinamento e assorbe carbonio. E, cosa straordinaria, il caffè è più buono. È una soluzione che ha vantaggi ambientali, sociali e sensoriali».
Negli ultimi due anni hanno vinto caffè rigenerativi brasiliani. Che segnale è?
«È un risultato storico. Il Brasile è il leader mondiale della quantità, non ci si aspettava che potesse diventare anche leader qualitativo al punto da vincere due anni consecutivi, con giuria esterna e degustazione alla cieca. Il premio è una bussola: orienta ricerca, acquisti e formazione».
In un mercato che moltiplica gusti e monorigini, voi mantenete un solo blend. Perché?
«Il blend è un’orchestra: dà complessità aromatica, costanza e armonia. La marca deve essere una promessa, e nel nostro caso la promessa è un gusto riconoscibile. Non varietà infinite: un’identità chiara».
In dieci anni sono arrivate pandemia, guerre, inflazione. Come si costruisce resilienza?
«Resilienza significa capacità di adattamento. Durante la pandemia, con il 60% del business nell’ospitalità, abbiamo ribaltato i pesi sviluppando la casa. Abbiamo ripensato produzione e logistica. Oggi, con i prezzi ai massimi storici, abbiamo margini che si comprimono ma non si azzerano. È resilienza economica, operativa e culturale».
Guardando al 2026, si può fare una previsione?
«No. Siamo entrati in un mondo di shock continui: pandemia, guerre, mercati instabili, clima. I sistemi complessi hanno comportamenti emergenti, non prevedibili. La speculazione aggrava tutto: il raccolto reale gira venti volte, il 90% degli operatori non è della filiera. Le giustificazioni cambiano - ora i dazi americani sul Brasile - ma la logica è la stessa. L’unica strada è rafforzare competitività, efficienza e qualità. In natura le piante diventano più forti in scarsità: vale anche per le imprese».
La decima edizione del Premio Ernesto Illy si terrà domani a Roma. La scelta ha un significato particolare?
«Un simbolo. Roma è sede della Fao, l’istituzione che combatte la fame nel mondo attraverso l’agricoltura. Celebrarlo qui, nell’anno del Giubileo, significa affermare che qualità, sostenibilità e valore per la filiera non sono utopie, ma un modello possibile e già funzionante. Dieci anni sono abbastanza per dimostrarlo».
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