Lo scrittore Darlymple: «Torneremo alla Via dell’Oro»

Lo storico britannico rimette l’India al centro del palcoscenico: «Sarà fra le prime tre economie mondiali, per l’Europa rischi e opportunità»

Marco ZatterinMarco Zatterin
Traffico sulla strada principale di Hyderabad, nel sud dell’India (Agf)
Traffico sulla strada principale di Hyderabad, nel sud dell’India (Agf)

«Ricordatevi della Via dell’Oro», avverte William Darlymple.

Del resto era lì a unire la Roma imperiale con l’Asia già duemila anni fa, molto prima che a fine Ottocento un geologo tedesco, Ferdinand von Richthofen, lo zio del Barone Rosso, inventasse la Via della Seta. È una vecchia tradizione da riconsiderare, assicura lo scrittore scozzese che da anni vive fra Londra e Delhi, è il passato che illumina il presente.

«Non vorremmo vedere l’India scendere in campo con la Cina nella sfida contro l’Occidente», ragiona ad alta voce. Il problema è che lo scenario si complica ogni giorno: «Donald Trump ha fatto un brutto autogol» con il presidente Modi, e l’Europa deve accettare di dialogare da partner con il colosso asiatico, anche se continuerà ad avere una relazione stretta con i russi, un patto fra giganti che difficilmente vedremo rompersi in un tempo vicino.

Per illustrare il quadro, usa numeri e carte geografiche. L’India, riepiloga Darlymple, «è la quinta economia del mondo e presto sarà nelle prime tre, superando Germania e Giappone, il che non deve essere una sorpresa, perché è un ritorno alle origini».

Il libro

Nel suo “La Via dell’Oro”, pubblicato da Adelphi, lo storico britannico offre gli argomenti necessari per rimettere Delhi al centro del palcoscenico.

In breve, sostiene che la Via della Seta è una trovata geniale recente rigenerata della Cina di Xi, dimostrando che la vera strada dei commerci era quella aperta da romani in cerca dell’adorato metallo giallo già nell’era di Augusto.

Poi difende il secolare primato dell’Indosfera ripercorrendo la diffusione a lungo inarrestabile del buddismo. Infine ripropone il tema, spesso trascurato, di come i numeri arabi fossero in realtà i numeri indiani. India caput mundi, insomma. Comunque, più della Cina.

Darlymple, nato a Edimburgo nel 1965 da una famiglia dal pedigree pesante, riferimento indispensabile per tutto ciò che è Oriente, illustra il suo schema con un inglese appena velato dall’accento della madre patria Lothian.

I tre leader dell’autoproclamato Grande Sud

Il pensiero arriva da lontano, ma corre sino all’incontro recente fra i tre leader dell’autoproclamato Grande Sud, il russo Putin, il cinese Xi e l’indiano Modi. Un terzetto che profitta dell’incertezza diffusa da un Trump che si è fatto male da solo provocando il braccio di ferro con Delhi.

La sua convinzione è che il Tycoon abbia «danneggiato severamente gli interessi di sicurezza occidentali a lungo termine, perché subito Modi è andato dritto a Xi Jinping ed è sbocciata un'alleanza dove prima c'era inimicizia». E l'India, insiste, «difenderà naturalmente i propri interessi: per questo ritengo sia stato un errore mostruosamente stupido».

E l’Europa

Per l’Europa ci sono opportunità e rischi allo stesso tempo. La prospettiva è che «non vogliamo che l'India si unisca ai cinesi contro di noi». Pertanto, «abbiamo una scelta, possiamo trattarla come un amico, oppure affrontarla come un nemico e umiliarla, dimenticando cosa accadrebbe se li rifiutassimo». Perderemo il partner che loro vorrebbero essere e rafforzeremo il campo dei nostri rivali. Non conviene, è il punto dello scozzese: “Abbiamo bisogno dell’India».

C’è però un problema, no? L’India compra idrocarburi dalla Russia che è in guerra con l’Ucraina. «Modi fa gli interessi del suo Paese», ribatte pragmatico Darlymple. «Il petrolio di Putin è un affare maledettamente buono per l’India che paga poco l’energia e versa a Mosca la valuta straniera di cui ha bisogno. Modi non ha le risorse che gli necessitano e non cambierà gioco. Così anche noi dobbiamo perseguire il nostro interesse, cioè «lasciare che acquistino il greggio dalla Russia e mantenere il dialogo aperto, tenendo presente che non sono gli indiani a bramare l’amicizia di Xi, poiché non lo vedono come un alleato naturale, bensì come un concorrente». E un potenziale nemico, come si è visto in Bhutan, in Nepal e in Myanmar.

Il senso di fondo è che Modi preferisce avere un rapporto pacifico con Pechino.

Mosca, amico stabile e lungo

Quanto alla Russia, «la relazione è profonda» e Mosca «è stata un amico stabile a lungo, mentre le relazioni con l’Ovest erano altalenanti». L’attuale scenario, puntualizza Darlymple, non autorizza nemmeno a immaginare che l’imperialismo rinnovato dello zar Vlad possa riproporre il Grande Gioco afgano, perché «nel breve termine la Russia non potrà essere una vera minaccia per Delhi».

Il XIX secolo è finito, sorride, «non è più il tempo degli agenti e delle spie nell’Asia centrale».

Le carte della Russia

Nessuna paura? In Europa c’è chi guarda al Cremlino con preoccupazione. La replica è secca: «Non credo che la Russia abbia un'economia abbastanza forte da giustificare la minaccia massiccia che a volte percepiamo», sentenzia. «La Russia sta giocando una mano aggressiva senza avere in mano carte particolarmente buone».

Davvero? «Sono sempre stupito da quanto sia influente nonostante abbia un'economia di ottavo livello: ha un ruolo sproporzionato nel mondo di oggi rispetto alle sue capacità». L’India, sorride, lo ha capito e si comporta di conseguenza. L’Europa e il resto dell’Occidente dovrebbero avere la forza e la lungimiranza di fare altrettanto. Magari cominciando a consolidare i rapporti con il serenissimo Modi. Il resto, a quanto pare, verrà di conseguenza. —

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