Il libro di Enzo Iacchetti in tour a Nordest: «Ho vissuto 25 minuti di felicità. E non ho mai smesso di crederci»

Il comico e attore presenta a Treviso il suo romanzo “25 minuti di felicità”: un racconto sincero tra ricordi, malinconia e ironia. «La vita è breve come una mezz’ora sulla Terra: bisogna viverla fino in fondo»

Gian Paolo Polesini

Un uomo analogico sta vivendo nel mondo digitale. Uno dei tanti, presumo. Lo si può notare chiaramente perché impugna una biro per scrivere. «In realtà un computer ce l’ho — rivela lui — ma non lo frequento tantissimo».

Il racconto di una vita, Enzo Iacchetti, l’ha buttato giù proprio su carta e «poi fotografavo col telefonino il foglio con le sue belle lettere maiuscole e lo spedivo all’editore: si è rassegnato. Il mio bravissimo editor dispensava consigli sempre attraverso gli scatti, pensi lei la pazienza». Però è venuto bene “25 minuti di felicità - Senza mai perdere la malinconia” (Bompiani), un delicato tratteggio sul passato coriaceo di un giovanotto che voleva fare il cantante o, comunque, rimanere dentro il recinto dell’arte. E c’è riuscito. «Se fosse andata male avrei aperto un bar tabaccheria», svela Enzino. Ormai il diminutivo è prassi. Il volumetto con copertina flessibile e con le pagine giuste (diciamo 250) sta vivendo il tour d’ordinanza assieme al suo autore.

«Guardi, è più impegnativo portare a spasso quest’opera per l’Italia che calcare palcoscenici con i miei spettacoli», ammette Iacchetti che comincerà oggi, sabato 25, alle 21, all’Auditorium Santa Caterina di Treviso, per il “Carta Carbone Festival”, il suo girovagare veneto-giuliano (domani sarà a Trieste).

Come mai si è deciso ad aprire la porta di casa sua?

«Ci stavo pensando, non lo nego, ma un volumetto di Seneca e una rivelazione di Piero Angela hanno accelerato il processo. Tant’è che io adesso ragiono secondo il metodo seneco-pierangeliano. Vado a spiegare: per milioni di anni nessuno ci ha visti sulla Terra. Un bel momento siamo comparsi e, appena ce ne andremo, fuggiranno via altri milioni di anni senza di noi. Siamo stati qui una mezz’oretta, in fondo. Questo diceva Angela. Piglio la matita e calcolo: la vita media è sugli 85 anni e io ne ho 73. Quindi, ho vissuto 25 minuti. E tac, ecco il titolo».

Con l’aggiunta della felicità.

«Naturalmente la felicità mi ha fatto compagnia tante volte. Tornando al libro le mie perplessità stavano tutte addosso ad un’unica paura: non farò mica il solito prodotto dei comici? Eh no, mi sondetto. Racconta e racconta qui dentro (e indica l’opera) c’è di tutto. L’infanzia, la gioventù, l’Italia travagliata che abbiamo attraversato nel Novecento. Ci sta il Derby di Milano, ci sta il Costanzo Show, ci sta Striscia la notizia e ci stanno decine di affluenti finiti giocoforza nel mio mare d’esistenza».

Lei è fatalista, Iacchetti?

«Penso di esserlo. Non credo che il destino stia lì a darci dritte tutto il giorno. Spesso ciò che accadrà ce lo dobbiamo costruire. Non ho mai mollato, glielo garantisco. Sarei caduto in un altrove meno affascinante se non avessi avuto fiducia in me stesso».

Papà Antonio non era molto d’accordo che lei finisse nel girmi dello show business.

«Temeva che ne sarei uscito malconcio. Babbo sosteneva che il sistema dello spettacolo fosse abitato da papponi, drogati e raccomandati».

Aveva ragione?

«Non è soltanto dall’altra parte del vetro che si animano questi personaggi, anche nelle banche, che ne so, negli enti pubblici, ovunque esista un agglomerato di persone che lavora. Gli dicevo: cercherò di stare dalla parte giusta, papà. Mi regalò una chitarra. Pensi che gesto da parte sua. Evito di rileggere certe parti perché ogni volta mi commuovo».

Si percepisce la sua sensibilità. Senta, Enzo, e se le canzoni bonsai non fossero state lanciate sul pavimento del Costanzo Show per rabbia e lì abbandonate e ritrovate dalla persona giusta, come sarebbe andata?

«E chi lo sa. Le proposi a una signora che stava vicino-vicino a Maurizio. “A lui non piaceranno, mi creda”, diceva. E io le lanciai per terra. Con rabbia. Fortuna che tempo dopo finirono nelle mani giuste. Cominciai così a entrare nei salotti degli italiani in punta di penna verso la mezzanotte».

Se le dico Derby di Milano?

«Un luogo di culto di quegli anni. Le rispondo Jannacci e Gaber. Con Giorgio perfino ci pranzai. M’invitò a mangiare con lui. Uno straordinario virtuoso che oggi manca davvero».

Ci risulta un Enzo Iacchetti militare in Friuli.

«Una parte di Car me la fecero fare a Orvieto e, quindi, mi spedirono a Palazzolo dello Stella. Ricordo un inverno a meno diciassette e io fui costretto alla guardia: ne misi insieme 117. Bella terra il Friuli, me lo lasci dire. Vi siete rialzati dal terremoto con una voglia di rinascere che pochi vantano».

Le manca Sanremo. Tre tentavi falliti. Una volta presentò una canzone di 80 secondi: troppo corta fu la risposta. Conti da “Domenica in” le ha lanciato una sfida. Quindi?

«Eh già. Se mi bocciassero ancora sarebbe la fine».

Pensi ai Jalisse…

«Sì, sì, ma penso a me. Non so, ci devo ragionare su. Se avessi un attimo libero mi siederei al piano. Ma adesso non ce l’ho».

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