Il ritorno del medical drama: ecco The Pitt, l’erede di E.R.
Secondo il NewYork Times è la serie più realistica di sempre: ha vinto 5 Emmy. Ambientata a Pittsburgh, va in onda su Sky. E ricorda “E.R.” e “Grey’s Anatomy”

Secondo il New York Times è la serie ospedaliera più realistica di sempre. Che piace a tutti, medici compresi.
Sono uscite anche in Italia (Sky e Now Tv) le prime due puntate di “The Pitt”, ambientato nel Pronto Soccorso dell’ospedale di Pittsburgh, da cui il titolo di questa nuova serie targata HBO Max (ma è anche un gioco di parole: il reparto d’urgenza viene, infatti, soprannominato, dispregiativamente, il pozzo, “the pit”).
Ha appena vinto cinque Emmy Awards (i premi più prestigiosi della televisione americana), tra i quali quello per la miglior serie drammatica e per il miglior attore protagonista, Noah Wyle. Che è, poi, la chiave di tutto, il trait d’union tra passato e presente. Perché Wyle è l’indimenticabile Dott. John Carter dell’antesignano e seminale “E.R. – Medici in prima linea”.
Era l’autunno del 1994 quando quel pioneristico medical drama a puntate debuttò sulla NBC (in Italia arrivò solo nel 1996).
Certo, la serializzazione di casi clinici e vicende personali di medici non è nata con “E.R.”. Il primo medico televisivo a raggiungere una enorme popolarità nella storia della tv resta, infatti, Richard Chamberlain, ovvero “Il dottor Kildare” che, tra il 1961 e il 1966, fu protagonista di un programma di culto che riprendeva, serializzandolo, il personaggio nato dalla penna di Max Brand, portato al cinema dalla MGM negli anni ’30 e ’40.
Ma è con “E.R.” (creata dallo scrittore Michael Crichton, non una penna qualsiasi) che il genere ospedaliero tocca il proprio apice, padre spirituale di quello che verrà (soprattutto “Grey’s Anatomy”, ancora in onda e, per qualche stagione, addirittura trasmesso in parallelo a “E.R.”).

Nessun dubbio, però, che “The Pitt” e i suoi protagonisti siano i discendenti diretti dei vari Dott. Green, Dott. Ross e dell’infermiera Carol Hathaway. Non solo perché dietro le quinte della nuova serie ci sono, in parte, gli stessi creatori e produttori dell’antesignano (Scott Gemmil e John Wells, tra gli altri). Non solo per la presenza di Noha Wyle che, sin dalla prima puntata, sembra sia stato catapultato dall’ospedale di Chicago a quello di Pittsburgh trent’anni dopo.
Ma perché “The Pitt” è, in tutto e per tutto, la versione aggiornata di “E.R.” Di cui smonta - per ovvie ragioni legate ai tempi completamente diversi della tv di oggi – la struttura che consentiva di seguire l’arco narrativo di un personaggio per intere stagioni (da studente a medico fatto, finito e cinico: il Dott. Carter è l’esempio più lampante di una “pazienza” drammaturgica oggi impensabile).
Ma riproponendo le stesse dinamiche e gli stessi “fenotipi” ospedalieri di allora, con i tempi frenetici di oggi. I casi, le storie, i legami, i traumi (c’è, ovviamente, il dramma del Covid) hanno il sapore del déjà-vu.
Tra i protagonisti c’è il primario competente, diretto ma traumatizzato, il suo braccio destro belloccio, la caposala punto di riferimento organizzativo e morale, la dottoressa empatica dalla vita privata complicata e uno stuolo di studenti e specializzandi che coprono tutta la gamma che va dall’ambizione all’insicurezza.
Già visto, sì. Ma alla velocità della luce, dato che i 15 episodi della prima stagione di “The Pitt” (diluiti, però, nell’uscita: due alla volta, ogni mercoledì) sono altrettante ore di un unico turno in ospedale (dalle 7 del mattino alle 10 di sera). Non settimane o mesi. Un giorno.
E con quel realismo celebrato dal NYT forse mai visto prima: ustioni, un piede maciullato dal passaggio di un treno, incisioni e una cricotiroidotomia (scoprirete cos’è a vostre spese) a cielo aperto. E molto altro.
E se la tecnologia ha fatto passi da gigante, la fotografia del sistema sanitario americano (con tanto di carotaggio sulla società attuale) è impietosa. Dalla sala triage che trabocca di pazienti e lamenti senza che se ne scorga la fine, ai tagli al personale (c’è, ovviamente, la manager odiosa che pretende alte percentuali di soddisfazione ma a costo zero).
Dai feriti per crimini d’odio a quelli agonizzanti per abuso di fentanyl. Un “pozzo” senza fondo, appunto. Nostalgico ma più politico di quanto possa sembrare.
Riproduzione riservata © il Nord Est