«Oi Vita mia», Pio e Amedeo al cinema con una commedia di cui sono anche registi
Le storie incrociate di due amici fraterni che gestiscono, rispettivamente, una comunità di recupero per ragazzi e una casa di riposo davanti ad una bellissima spiaggia di Vieste

Che sapessero far ridere, valicando spesso la linea di confine del “politically correct”, lo si sapeva già da un po’. Ma che potessero anche far commuovere, sfiorando temi delicati come l’Alzheimer, forse in pochi se lo aspettavano.
Pio e Amedeo sono al cinema dal 27 novembre con una commedia di cui firmano, per la prima volta, la regia. Si intitola “Oi vita mia! (come il ritornello della canzone «'O Surdato 'Nnammurato») e impasta le storie di due amici fraterni che gestiscono, rispettivamente, una comunità di recupero per ragazzi e una casa di riposo davanti ad una bellissima spiaggia di Vieste.
Costretti dalle circostanze a far vivere sotto lo stesso tetto giovani e anziani in una coabitazione tanto improvvisata quanto pericolosa, Pio e Amedeo sapranno andare oltre i pregiudizi della differenza generazionale, scoprendo nuovi orizzonti nel rapporto con le donne, con una figlia che, per il troppo amore, rischia di allontanarsi e con la memoria che svanisce a causa della malattia, quella di Mario (interpretato da Lino Banfi), soprannominato “Monicelli” perché filma tutto ciò che l’Alzheimer si ostina a fargli dimenticare.

Venerdì 12 dicembre i due registi/attori saranno in Veneto per accompagnare il loro film nel rinnovato multisala di Due Carrare che, dopo quattro anni di inattività, torna in vita con un nuovo nome – Cineplex Moderno – e una nuova proprietà alle spalle. Con un saluto all’inizio della proiezione delle 20.30 e per rispondere alle domande del pubblico al termine del film (il giorno dopo, invece, saranno allo Space Cinema di Limena alle 20.15 e a quello di Silea dopo i titoli di coda alle 23 circa).
Di questi tempi, un cinema che apre è una notizia. Sarete i primi ospiti di questa nuova sala. Che effetto vi fa?
Pio: «Siamo molto felici di battezzare questo percorso un po’ in controtendenza in un momento come quello attuale in cui la gente va sempre meno al cinema. E siamo ancora più contenti di farlo con questa commedia che sta avendo un ottimo risultato e si avvia ad essere una delle più viste dell’anno. È davvero una gratificazione importante per andare avanti e speriamo di portare fortuna a questo nuovo esercizio»
“Oi vita mia” segna un cambio di passo evidente nella vostra carriera. Non solo perché è il primo film di cui siete anche registi ma anche per una umanità più spiccata, quasi da fazzoletto. Cosa è successo, siete diventati più buoni?
Amedeo: «In realtà al cinema, finora, avevamo sempre fatto quello che ci avevano fatto fare. Ora più che mai abbiamo sentito il bisogno di rispettare la nostra natura e di portare sullo schermo il nostro modo di essere che è sempre stato molto umano fin dai tempi di “Emigratis”. Credo che sia davvero l’inizio di una nuova era. Ci siamo messi in gioco, abbiamo messo dentro tutto in questo film. Ci siamo sentiti liberi»
Il vostro motto è sempre stato: “scherzare su tutto” ma senza mai imporre una visione o salire in cattedra. È un comandamento che avete rispettato anche in questo film?
Pio: «Assolutamente sì. Noi continuiamo a scherzare su tutto, non ci sono tabù, altrimenti la comicità e la satira non avrebbero senso. Quello di cui, oggi, siamo più consapevoli è che a dare fastidio sono gli insulti o le battute gratuite. Magari, in passato, per inesperienza, siamo caduti anche noi in questa trappola ma adesso abbiamo capito che se sei onesto con il pubblico e la satira lo permette, puoi ironizzare su qualsiasi cosa. Gli spettatori di oggi sono scafati, non si fanno fregare e se li prendi in giro con una comicità che in quel momento non ha nulla a che fare con la storia che stai raccontando, se ne accorgono e non ti seguono più. Per questo abbiamo potuto scherzare sul patriarcato e sulla disabilità senza risultare offensivi»
Amedeo: «C’è un momento molto comico nel film quando usiamo la parola mongoloide in presenza di un attore con la sindrome di Down. Sulla pagina scritta la battuta può sembrare fuori luogo, scivolosa. Invece, sullo schermo funziona, non è offensiva e il pubblico ha capito che poteva riderci sopra»
Nel film non ci sono battute a raffica o gag di repertorio. Insomma, non ve ne siete approfittati …
Amedeo: «Al pubblico non gliela fai. E si allontana se gli propini barzellette rigenerate all’infinito o gag già proposte che lo fanno uscire dalla storia. Noi abbiamo voluto fare esattamente l’opposto, dando priorità al racconto. Anche a costo di buttare via un sacco di battute facili»
Come sono Pio e Amedeo registi?
Pio: «All’inizio passare dietro la macchina da presa ci spaventava molto. Abbiamo visioni opposte anche sul piano registico ma, alla fine, queste differenze si completano e il punto di arrivo è condiviso. Sapevamo di voler fare un film che ci assomigliasse e quando, per la prima volta, lo abbiamo visto, ci siamo detti: “Cavolo, era proprio così che lo immaginavamo”. Abbiamo imparato anche un sacco di tecnicismi: insomma una esperienza a 360 gradi»
E avete lavorato con il vostro mito, Lino Banfi, che interpreta un personaggio struggente la cui memoria svanisce giorno dopo giorno. Fa un certo effetto averlo diretto?
Amedeo: «Quel ruolo lo abbiamo pensato per lui e solo per lui. Avevamo un certo timore reverenziale nei suoi confronti. Lino ha vissuto con la moglie Lucia il dramma dell’Alzheimer ed era persino difficile trovare il coraggio per chiedergli di interpretare questo ruolo. È stato delicato, ci ha dato fiducia. Lino Banfi è un grande attore oltre che un grande comico»
Pio: «Questo ruolo è stato un regalo. Ma non solo per noi, per tutto il cinema italiano»
Nel film, giovani e anziani, per una volta, non sono raccontati secondo i soliti luoghi comuni …
Amedeo: «Volevamo esorcizzare i soliti cliché sui ragazzi maledetti di provincia, tipo “Mare fuori”, tutti pistole, trap e sesso spinto. E, infatti, nel film, non esplicitiamo le ragioni per cui sono in comunità. Hanno dei piccoli problemi ma sono ragazzi normali. Lo stesso abbiamo fatto con gli anziani. La casa di riposo che vedete sullo schermo esiste davvero e ci ha ispirato per mostrare che esistono anche dei luoghi non lugubri dove gli anziani trascorrono il tempo facendosi compagnia. Un esempio, autentico, di come dovrebbero essere trattati»
Pio: «Aggiungo che ci sono troppi pregiudizi sui giovani di oggi. Hanno un grande bisogno di amore, bisogna tendere loro la mano e dialogare. Il loro è un mondo meraviglioso e i ragazzi con cui abbiamo lavorato, che non sono attori, ce ne hanno dato prova»
Nel film vi inventate una truffa sfruttando la “Legge 104”. Tutta finzione o c’è del vero?
Pio: «Ci è venuta in mente parlando con il commesso di un negozio di elettrodomestici che ci raccontava come la vendita di televisori con lo sconto riservato a chi è tutelato dalla legge avesse avuto un forte incremento. Gli abbiamo chiesto se ci fossero dei controlli e lui ci ha detto di no. E quando gli abbiamo fatto notare che poteva essere una truffa bella e buona, ha minimizzato! “Ma quale imbroglio!” - ha detto. Abbiamo trovato la storia meravigliosa e l’abbiamo adattata al film, facendo diventare i protagonisti degli spacciatori di sconti da Legge 104»
C’è pure il padel con un sedicente maestro spagnolo interpretato da Luca Argentero che scippa la ragazza di Pio. Siete anche voi dei giocatori?
Amedeo: «Macchè! Il padel fa male. Gli ortopedici di tutta Italia si stanno arricchendo perché ci giocano tutti e tutti pensano di essere fortissimi. Noi siamo pieni di acciacchi. Meglio di no»
A Natale esce il nuovo film di Checco Zalone. Un mito o un concorrente?
Pio: «Non ci sogneremmo mai di considerare Checco un competitor. Questo è il nostro primo film da registi, lui ormai è un veterano. E poi le nostre comicità sono troppo diverse. Checco è una maschera, noi, in fondo, interpretiamo … Pio e Amedeo, cioè noi stessi»
Amedeo: «Comunque Checco è un fenomeno culturale che fa bene al cinema. Però io non vorrei mai essere nei suoi panni perché ormai tutti si aspettano da lui degli standard altissimi e diventa molto difficile uscire dal suo personaggio. In un certo senso noi abbiamo più libertà di azione».
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