La notte di San Giovanni fra magia e misteri a Nord Est
Dalle Valli del Natisone a Monselice i riti del solstizio tramandati dalla tradizione. Aglio, iperico e lumache per salvarsi dagli spiriti e cancellare tradimenti

Mazzetti di erbe aromatiche e coroncine fiorite, acque curative, fiamme verso il cielo, danze di streghe, lumache da mangiare e noci da raccogliere acerbe. Dal nord al sud dello Stivale, da tempo immemore, quella di San Giovanni è notte di magia e mistero, perfetto amalgama tra sacro e profano, tra echi pagani e ritualità popolare: spesso, ormai, relegati alla memoria, i riti che scandiscono il passaggio dal 23 al 24 giugno sono ancora vivi in alcune zone del Nord Est, nel Friuli valligiano e montano soprattutto, per quanto pure il Veneto custodisca tracce di consuetudini nate nei secoli che furono, a celebrazione del solstizio d’estate.
I fuochi di San Giovanni
Le Valli del Natisone, al confine con la Slovenia, sono uno dei contesti in cui la tradizione si tramanda con più tenacia, grazie all’impegno di paesani e associazioni. Qui sfavillano i kries, i fuochi di San Giovanni, che all’imbrunire del 23 giugno vengono dati alle fiamme in più borgate.
I preparativi iniziano con anticipo, con la raccolta della legna e delle ramaglie e da ultimo con quella di fiori di campo e piante aromatiche, che secondo la vulgata nella notte di San Giovanni raggiungono il culmine delle loro proprietà: vengono utilizzati per realizzare “križanci”, croci, e “kranceli” (ghirlande) da appendere alle porte d’ingresso delle case, per proteggerle.

La Pro loco Nediške Doline proporrà un tour dedicato, con partenza alle ore 18 dal museo SMO di San Pietro al Natisone: il presidente Antonio De Toni guiderà i partecipanti in un’esperienza che culminerà nello spettacolo del Kries di Masseris. Altri fuochi illumineranno i prati di Tercimonte (in Comune di Savogna), di Tribil (Stregna) e Altana di San Leonardo.
Il lancio dei dischi in legno d’abete
Nel borgo carnico di Cervicento, il paese della Bibbia a cielo aperto (grazie a creazioni tematiche che costellano il paese), il solstizio si associa invece al pittoresco lancio “das cidulas”, dischetti di legno d’abete del diametro di 8-10 centimetri e spessore di 3: preparati per tempo, nelle notti fra il 24 e il 29 giugno (ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo) vengono infuocati e gettati nel vuoto, accompagnati dalla recita di filastrocche. La prima cidule è dedicata a San Giovanni, l’ultima ai Santi Pietro e Paolo.

L’usanza è documentata da secoli in tutto il territorio della Carnia, ma viene praticata in diversi periodi dell’anno, a seconda delle zone. Agli spettacolari lanci si unisce la solenne benedizione del “mac di San Giuan” , il mazzo di San Giovanni: a Cercivento è prevista per le 18.30 del 24 giugno nella Pieve di San Martino, dopo il canto dei Vespri, con le antiche melodie dell’Onoranda Compagnia dei Cantori.
Il nobile e la sirena
Pure in Veneto, come detto, fuochi, fiori e acque aromatiche dai poteri salvifici erano patrimonio popolare diffuso, in passato. E per una notte fatata non poteva mancare una leggenda (che può rappresentare un ottimo pretesto di visita): narra di un giovane nobile sofferente e di una sirena di indicibile bellezza, emersa dal lago di Lispida, che si allarga tra Monselice e Battaglia Terme, ai piedi del versante orientale dell’altura da cui prende il nome.

L’acqua termale, calda, che lo caratterizza ha sempre stimolato la fantasia degli abitanti della zona, generando credenze e racconti. Il più noto ha per protagonista Manfredo, conte di Monticelli, colpito da una malattia alle gambe che non gli dava tregua. Afflitto da un dolore sempre più intenso, nella notte di San Giovanni il poveretto raggiunse le sponde del lago determinato a porre fine al suo supplizio: proprio allora, però, dalle acque scure si levò un canto melodioso e apparve una creatura meravigliosa, per metà donna e per metà pesce, che ricoprì di fango bollente le membra malate di Manfredo.
Il nobile guarì completamente e da allora ogni notte tornò al lago, sperando di rivedere la sirena. Il suo spirito aleggia ancora sull’acqua, ma solo nella notte di San Giovanni il conte riesce a incontrare le sua amata.
L’iperico e le sue straordinarie proprietà

La tradizione popolare la chiama “erba di San Giovanni”: si tratta dell’iperico, nome scientifico Hypericum perforatum, pianta officinale semi-sempreverde che appartiene alla famiglia delle Hypericaceae. Viene utilizzato in medicina per le sue proprietà fitoterapeutiche, in particolare antidepressive e antivirali.
Originaria delle zone temperate dell’Eurasia, questa specie dal fiore giallo oro – che predilige gli ambienti soleggiati e asciutti – è ormai diffusa in tutte le regioni d’Italia e nel mondo.
Gli spiriti oscuri non amano l’aglio

«Chi non compra aglio a San Giovanni è povero tutto l’anno», recita un proverbio, evidenziando la connessione creata dalle credenze popolari tra l’ortaggio e prosperità, salute e fortuna.
Il detto è figlio dell’antica tradizione erbacea legata alla notte di San Giovanni, quand’era consuetudine dedicarsi alla raccolta delle erbe officinali e alla cura della casa: all’aglio, noto come scaccia-streghe, veniva attribuito il potere di proteggere l’abitazione e le messi da spiriti oscuri e malattie.
Le lumache che cancellano i tradimenti

Si mangiano lumache, nella notte di San Giovanni. L’origine di questa usanza parrebbe associata alle antenne dei molluschi, interpretate dal popolo come corna, con la conseguente simbologia: cibarsene, così, equivaleva a cancellare i tradimenti e i dissapori, sia fra marito e moglie che con parenti, amici, conoscenti. Altra tradizione della notte “magica” associata al culto del santo, ma intrisa di credenze pagane, è la raccolta delle noci acerbe per preparare il nocino, liquore dal gusto forte e aromatico.
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