Varotto al Montagna Teatro Festival: terre alte modello di futuro
Venerdì 12 dicembre, al Verdi di Pordenone, l’incontro curato dal geografo dell’Università di Padova: «L’ambiente e la natura devono rappresentare una parte del nostro quotidiano»

Dalle cime maestose al fondovalle, oggi la montagna affronta una tempesta “perfetta” di sfide: cambiamento climatico, gelo demografico, overtourism gravano su territori sempre più fragili. Per analizzare le criticità – e le opportunità – delle terre alte, il Teatro Verdi di Pordenone con la media partnership del Gruppo Nem e in collaborazione con il Cai nazionale, propone il Montagna Teatro Festival, quattro giornate di riflessioni e linguaggi artistici tra teatro, musica, danza, poesia, letteratura e approfondimenti.
Nel programma di venerdì 12 dicembre il primo degli incontri del ciclo R-Evolution Green curati dal geografo dell’Università di Padova, Mauro Varotto (Sala Ridotto, ore 18) che si apre con una domanda chiave: “Montagne di cibo o cibo di montagna?”. Tema strategico alla luce del recente riconoscimento Unesco della Cucina italiana, che offre l’occasione per interrogarsi sul rapporto tra alimentazione, prodotti e territorio montano.

«Il cibo – spiega Varotto moderatore della tavola rotonda – è un ottimo punto di partenza per capire la montagna. Nella comunicazione pubblicitaria le montagne vengono spesso usate per evocare purezza e tradizione, ma dietro queste immagini ci sono prodotti che non sempre hanno un reale legame con l’ambiente montano. La nostra tavola rotonda, “Montagne di cibo / Cibo di montagna”, vuole scavare dietro gli stereotipi e comprendere cosa significhi “cibo di montagna” e in che modo possa essere un buon alimento e un’opportunità per i territori.
Interverranno il presidente di Agrifood, Giorgio Sturlese sui prodotti certificati, Cristina Sist, una delle promotrici della candidatura Unesco della cucina italiana, Marialaura Felicetti che spiegherà il rapporto del Pastificio Felicetti con la Val di Fiemme, e il geografo Davide Papotti, che offrirà una visione più ampia dal punto di vista della geografia del cibo.
Si parlerà anche della “montagna di mezzo”. Come la definirebbe?
«La montagna di mezzo non è solo una quota altimetrica: è la montagna abitata, quella quotidiana. È il luogo di mediazione tra la montuosità (gli aspetti fisici) e la montanità (la cultura, la gestione delle risorse). Non è la montagna “da cartolina” o “da weekend”, ma quella che vive ogni giorno e che il cibo aiuta a leggere: ogni prato, terrazzamento o pascolo ha avuto a che fare con il cibo».
La montagna attrae sempre più dal punto di vista turistico ma abitare e lavorare sono un’altra cosa...
«Sì, turismo non significa automaticamente vitalità. Anzi, le località più turistiche tendono spesso a perdere residenti: aumentano i prezzi delle case, i servizi si concentrano sulla stagionalità e vivere stabilmente diventa difficile. Eppure, negli ultimi anni c’è stato un fenomeno interessante: il ritorno alla montagna. Il 70% dei comuni alpini attira più persone di quante ne perda, con circa 100.000 nuovi residenti in cinque anni. Sono movimenti legati allo smart working, al desiderio di una vita diversa, a una maggiore sensibilità ambientale. Attenzione però: chi torna cerca una montagna non turistica o congestionata e più autentica. È fondamentale orientare questi processi verso attività sostenibili: agricoltura di qualità, artigianato, nuove tecnologie, servizi».
Il Festival come affronta questi temi?
«Attraverso una triangolazione molto fertile che coinvolge teatro, università e territorio. Il teatro offre linguaggi efficaci e creativi; l’università approfondisce scientificamente; il territorio porta testimonianze autentiche. Reading, video e incontri permettono di raccontare la montagna senza retorica: una montagna vissuta».
La montagna può diventare un modello di futuro, anche alla luce della crisi climatica?
«Assolutamente sì. Stiamo lavorando perché sia così: come Università di Padova abbiamo avviato Orizzonte Montagna, un percorso formativo dedicato alle terre alte e collaboriamo anche con l’Università di Udine. La montagna può essere un laboratorio di adattamento climatico, ma solo se superiamo la visione manichea “natura da una parte, uomo dall’altra”. L’uomo fa parte della natura: questa è la base della montagna di mezzo».
Se dovesse riassumere la montagna del futuro in una sola parola?
«La parola a cui penso è relazione. Da ricucire fra noi, l’ambiente e la natura come parte del nostro quotidiano. Questa è la grande sfida».
Mauro Varotto sarà anche relatore dell’incontro in programma sabato 13 dicembre, “Montagna pordenonese: visioni future” in collaborazione con Confcooperative e con l’Università di Udine.
La giornata del 12 dicembre sarà suggellata alle 20.30 dal concerto “Dagli Appennini alle Madonie” del Barga Jazz Ensemble guidato dal contrabbassista e compositore Bruno Tommaso.
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