Maschi veri, il regista Oleotto: “Così racconto gli uomini in affanno”

Il goriziano tra i registi della nuova produzione Netflix che ritrae un gruppo di 40enni nella difficile impresa di liberarsi dalla mascolinità tossica

Elisa Grando
Il regista Matteo Oleotto
Il regista Matteo Oleotto

C’è una specie in via di estinzione: l’uomo capo branco, quello a suo agio in un mondo tutto costruito sul modello maschile, per il quale era impensabile che una donna lo superasse sul lavoro o dettasse le regole a letto. Gli ultimi esemplari rimasti hanno tutti più di quarant’anni e a raccontare la loro complicata, esilarante metamorfosi fuori dalla mascolinità tossica è la nuova serie Netflix “Maschi veri”, otto puntate di 30 minuti online dal 21 maggio, diretta anche dal regista goriziano Matteo Oleotto.

A prendersi gioco col sorriso degli stereotipi di genere sono Maurizio Lastrico, Matteo Martari, Francesco Montanari e Pietro Sermonti nei panni di quattro amici in crisi con le donne: c’è chi viene licenziato per atteggiamenti sessisti, chi viene iscritto sulle app di appuntamenti dalla figlia adolescente, chi ha sempre tradito senza sensi di colpa ma non accetta che la compagna gli proponga la coppia aperta.

Nel ruolo di donne decise e in fermento ci sono la cantante Thony, sempre più brava anche come attrice, Laura Adriani, Sarah Felberbaum e Alice Lupparelli.

 

“Maschi veri” è ispirata alla serie spagnola “Machos Alpha”: quello della parità di genere è un tema caldissimo e globale che, dice Oleotto, «mi appassiona molto. Aver raccontato un argomento serio in chiave di commedia è la cosa che preferisco. Parla di quattro uomini che, nell’era contemporanea, capiscono che la figura del maschio deve cambiare perché le donne stesse sono cambiate, mentre noi maschi siamo rimasti fermi. Così si iscrivono a un corso contro la mascolinità tossica: succederanno un sacco di disastri».

Come il diavolo, anche il maschilismo si nasconde nei dettagli, per esempio in abitudini linguistiche sbagliate ma consolidate...

«Partendo dal “principe azzurro” all’“uomo che non deve chiedere mai”, siamo passati attraverso una serie di stereotipi pericolosi e tossici ai quali nessuno pensa. Io in prima battuta ho dovuto mettere in discussione una serie di atteggiamenti e modi di esprimermi che pensavo non fossero nocivi, e invece ho scoperto che lo sono. Lo stesso accade ai protagonisti della serie. Siamo imbevuti di questa cultura maschilista, la decostruzione è complessa. Abbiamo bisogno di voi donne per ricostruirci».

Chi critica l’inclusività di genere lamenta che, ormai, non si può più dire niente senza risultare offensivi…

«Dal mio punto di vista questo è il grande tema, anche nella comicità: dove stiamo andando, cosa si può dire e cosa no, è giusto eliminare del tutto il politicamente scorretto? Maurizio Lastrico dice sempre che i testi che scriveva dieci anni fa oggi non li scriverebbe più. Penso che la leggerezza sia un modo meraviglioso per affrontare temi importanti: se si fa sorridere lo spettatore si superano le sue autodifese».

Il maschilismo è una questione generazionale?

«Credo di sì: siamo cresciuti con un patriarcato importante e adesso alla nostra generazione è chiesto un cambio. Per noi era strano avere i figli di divorziati in classe, oggi nemmeno ce ne accorgiamo, e così ai nostri figli interesserà poco se vedono due uomini o due donne che si baciano. È la nostra generazione ad aver vissuto il tormentone dell’ “uomo che non deve chiedere mai” e ora abbiamo capito che quell’uomo non ci piace. Stiamo finalmente insegnando ai nostri figli che se hanno bisogno di piangere lo possono fare, che il rosa non è un colore da femmina. Ma è accaduto tutto in maniera molto veloce e alcuni faticano a cambiare».

C’è sessismo nel cinema?

«Sì, come un po’ ovunque. Ma la forza di questa serie è che ciascuno di noi può riconoscere qualcuno di simile ai protagonisti della serie nella nostra vita. C’è quello che prova ad essere diverso, quello a cui i discorsi sulla parità non interessano, quello che fatica ad accettare un capo donna: sono esseri umani che conosciamo bene. La serie spagnola è più grottesca, qui c’è una sceneggiatura meravigliosa che riesce a sporcarsi le mani coi sentimenti».

A che punto è il nuovo film per il cinema “Ultimo schiaffo” girato nei mesi scorsi tra Tarvisio, Malborghetto, Cave del Predil e Gorizia?

«È in montaggio, l’hanno visto i produttori, abbiamo feedback molto positivi. È la storia di due fratelli, Petra e Iure, che vivono in una roulotte in montagna. Per fare qualche soldo decidono di cercare un cane smarrito per il quale è prevista una lauta ricompensa: da lì inizia un film rutilante, pieno di colpi di scena e di neve, tutto ambientato durante le vacanze natalizie. Ma è un film di Natale per chi non ama molto il Natale. Sono molto soddisfatto, era il film che volevo fare».

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