Italiani Kaputt: la strage degli operai alla Lancia di Bolzano nel libro di Fregona

Il giornalista ricostruisce in volume un eccidio dimenticato il 3 maggio del 1945. Lavoratori inermi, molti veneti, furono trucidati dai nazisti

Nicolò Menniti Ippolito

Le elezioni amministrative a Bolzano e Merano hanno, per motivi diversi, riportato per un momento l’attenzione sulla complessa convivenza tra cittadini di lingua tedesca e di lingua italiana in Alto Adige. Poi è nuovamente calato un silenzio, frutto di una rimozione storica che sembra far comodo a tutti.

Ed invece la storia conta e dimenticarla non fa bene a nessuno, come racconta, con grande partecipazione emotiva, Italiani kaputt. La strage degli operai. Storia di un eccidio a guerra finita (Athesia, p.160, 18 euro), il nuovo libro di Luca Fregona, giornalista e scrittore molto attento a quelle vicende individuali che costituiscono poi la storia collettiva.

Luca Fregona, autore del libro
Luca Fregona, autore del libro

Fregona usa, per raccontare una strage nazista dimenticata, tanti strumenti diversi, ma saldati da un sentire unico: la pietà per i morti, per i sopravvissuti, per chi comunque è stato vittima di una ferocia tanto più efferata perché arrivata a poche ore dalla fine della guerra. I fatti (ricordati in postfazione da Carlo Romeo) sono poco noti fuori da Bolzano e per questo vanno ricordati.

Il 3 maggio del 1945 l’esercito tedesco aveva già cominciato a ritirarsi dalla città, le trattative per una resa organizzata erano già state concluse, anche se con una serie di contrasti interni al comando tedesco e qualche differenza di interpretazione. Per gli operai della Zona, l’area industriale sorta durante il fascismo come parte del processo di italianizzazione, si trattava di proteggere le fabbriche ed i macchinari per evitare che venissero arrecati danni a strutture che avrebbero rappresentato nel prossimo futuro l’unica possibilità di lavoro.

D’altra parte, i partigiani erano già in città e controllavano alcuni snodi con l’ordine però di non sparare. Situazione difficile, confusa, un equilibrio instabile che improvvisamente si rompe.

La copertina del libro
La copertina del libro

Alcuni spari, poi le risposte, difficile stabilire l’origine del tutto. Il dato certo è la ferocia con cui i tedeschi fucilano ostaggi disarmati prelevati dalle fabbriche. Li mettono al muro, il muro della Lancia, una delle industrie della Zona, solo perché erano lì, perché erano italiani. «Italiani kaputt» urlano feroci, ed in effetti tra quei morti ci sono praticamente solo i cittadini di lingua italiani, quelli arrivati pochi anni prima soprattutto dal Veneto e lavorare nelle nuove fabbriche.

C’è una lapide oggi sul muro della Lancia che ricorda questo eccidio, dimenticato anche più di altri, proprio perché coinvolgeva aspetti che nel dopoguerra potevano dar luogo a nuove tensioni. Polvere sotto il tappeto è stata questa storia per anni, poi qualche parente delle vittime (Marco Cavattoni), qualche studioso (Carlo Romeo, Mario Rizza) hanno cominciato a raggruppare nomi, documenti, storie.

Hanno riportato alla luce molti particolari e Luca Fregona ha provato a mettere insieme tutto questo per dare vita a quella vecchia lapide, già di per sé commovente, ma che lo diventa ancor di più quando gli «umili difensori della libertà» di cui parla hanno non solo un nome, ma anche una storia, degli affetti.

Raccontate dai morti in prima persona, come in un romanzo, in altri casi in forma di testimonianza, mescolando elementi documentari e fotografie ecco che prendono forma le vicende di personaggi come Irfo Borin, studente diciannovenne dell’Istituto tecnico, trucidato con un colpo in testa a freddo di fronte alla fidanzata Carolina che non si riprenderà mai più dal trauma.

O come Toni Peretto, originario di Masi in provincia di Padova, falegname arrivato a Bolzano per lavorare alla Sida, il caporeparto che cerca di salvare i suoi operai e con loro divide le fette di soppressa quando sono già al muro.

O come l’altro padovano Bruno Bovo, originario di Merlara, arrivato ragazzo a Bolzano con la famiglia, che viene anche lui messo al muro, ma le sventagliate di mitra lo feriscono senza ucciderlo e si salva protetto dai morti. Walter Saudo era invece il più vecchio di tutti, 60 anni, originario del Polesine, carpentiere, un quasi padre per quei ragazzi al muro che sembra proteggere fino alla fine. Perché Italiani kaputt è una storia di ferocia ma anche di amicizia. Terribile nella sua verità. 

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