Heatwave, il padiglione che rinfresca senza condizionatori, Faraguna trionfa alla Biennale
Andrea Faraguna, architetto mestrino cl
asse 1981, ha progettato “Heatwave”, il padiglione del Bahrain premiato con il Leone d’Oro alla Biennale Architettura 2025: ecco come funziona e dove questa tecnologia potrebbe essere applicata
Dietro al padiglione del Bahrain alla Biennale Architettura 2025 c’è un mestrino. Il progetto che ha vinto il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale è di Andrea Faraguna, classe 1981, nato e cresciuto in corso del Popolo, laurea allo Iuav. Risponde da Berlino, dove vive e lavora da diversi anni. Il padiglione, intitolato “Heatwave”, “Ondata di calore”, si trova nelle Artiglierie all’Arsenale, parte della mostra “Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva” curata da Carlo Ratti e aperta fino al 23 novembre.
Faraguna, come nasce il progetto per il padiglione del Bahrain ?
«Nel luglio dello scorso anno, il regno del Bahrain ha indetto una open call per il progetto del suo padiglione alla Biennale. Il tema era appunto l’innalzamento delle temperature, quindi abbiamo realizzato un sistema di raffrescamento per spazi pubblici che utilizza tecniche tradizionali».
Come funziona?
«In pratica, l’aria viene raffreddata sottoterra attraverso tubi e fuoriesce poi dal soffitto della struttura. È un sistema elementare, non ha muri».
Avrà un vita in città anche dopo la chiusura di questa Biennale?
«Forse lo porteremo alla Cini a San Giorgio. In Bahrain , la temperatura media al suolo è di 27 gradi, raffrescata raggiunge 20, ma con i picchi di 49 già averla a 30 è un sollievo. A Venezia, forse può raggiungere anche temperature inferiori. Quest’aria raffrescata la si potrebbe usare tutto l’anno, magari nelle pensiline dei vaporetti. O posizionando tubature in punti strategici sotto la Laguna».
Come ha visto cambiare Venezia da quando era studente?
«Ho studiato prima al Franchetti, poi allo Iuav. Torno spesso a trovare la mia famiglia. Ammetto che sto pensando di tornare a viverci, cosa che fino a qualche anno fa non avevo mai considerato».
Come mai?
«Diverse persone che conosco sono tornate, hanno riaperto attività. Ci sono nuove fondazioni d’arte e continuano ad aggiungersene. Da lontano ho la sensazione che sia molto più viva anche dal punto di vista lavorativo, che ci sia un cambiamento positivo nonostante la pressione turistica».
Un bel problema, però.
«Ho in mente questa immagine: mia nipote e io, nella Basilica di San Marco vuota, nel periodo della pandemia. Abbiamo visto un’alternativa di vita in città, rimasta quando è ricominciato tutto».
Ricollegandosi al cambiamento climatico, Venezia è tra le città più a rischio. Che soluzioni può dare l’architettura?
«Nel 2024 ero professore alla facoltà di architettura di Vienna: ho lanciato agli studenti il tema del futuro della Laguna. Hanno vagliato tutte le possibilità, dall’innalzamento del mare alla completa sparizione della città, fino alla sua ricostruzione. Molti si sono concentrati sulle bocche di porto: ne è risultato che vivere a Venezia era una scelta pionieristica».
Venezia ha un patrimonio complesso, dove vige la conservazione. Che cosa si potrebbe costruire di nuovo?
«In Italia siamo bravi a gestire il rapporto con il preesistente. Ma si può dar vita a qualcosa di ibrido, partendo dal preesistente facendo modifiche senza degenerare la città. Senza chiamare in causa i progetti di grandi architetti rimasti irrealizzati, penso a Le Corbusier, sogno di vedere edifici nuovi.
C’è da dire che, pochi metri da queste forme di protezionismo, vediamo spuntare i cantieri per gli alberghi al Tronchetto...».
E poi ci sono Marghera e Mestre.
«Tre città in una, quasi come fossero tre scenari di un videogioco. Mestre ha esempi architettonici molto interessanti, penso ai portici di corso del Popolo, dove sono cresciuto».
Nuovi progetti in cantiere?
«Mi sto occupando di due allestimenti di mostre, uno a Porto, il secondo a Shanghai. Poi sono al lavoro su un concorso per uno spazio pubblico. Berlino è una città importante, ma c’è una cosa che mi manca in particolare».
Che cosa?
«La vicinanza con architetture che vadano indietro nel tempo».
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