L'inatteso successo del film di Sossai che racconta il Veneto al cinema
Il regista feltrino Francesco Sossai racconta un paesaggio, oggi distrutto, in cui convivono dimore antiche e schiere di villette tutte uguali. Il film, proiettato inizialmente solo in Triveneto, ha riscosso un grande successo a livello nazionale

Francesco Sossai ha portato il suo Veneto sul grande schermo. “Le città di pianura”, passato anche in concorso a Cannes (Un Certain Regard), è un film importante su una terra profondamente trasformata: quello spazio di pianura che si estende dalle Prealpi alla laguna e che, come un capriccio pittorico della scuola del Veronese, quasi scompare, come se la distanza tra le montagne e il mare si annullasse.
Sossai sceglie questo paesaggio, oggi distrutto, in cui convivono dimore antiche e schiere di villette tutte uguali, costellato di case e di osterie abbandonate - dove un tempo si mangiavano lumache e polenta - e di vestigia industriali abbattute dalla crisi economica.
Una campagna che non è più campagna ma che non è ancora diventata città. È un Veneto quasi funereo: non è un caso che Sossai abbia scelto, tra le tante ambientazioni del film, anche la Tomba Brion: cemento armato che anela al cielo.
La trama e i personaggi del film
Il Veneto è stato (è) così, con una forza propulsiva ora contraria: un ideale economico piombato, rovinosamente, a terra. Qui si muovono i protagonisti del film: due anime “alcoliche”, Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), disarcionate dalla vita, che vogliono bere l’ultima “ombra” prima di riabbracciare il passato glorioso incarnato dal mitologico Genio (Andrea Pennacchi da adulto) che sta per atterrare in Italia, dopo una lunga latitanza per aver frodato l’azienda di occhiali dove i tre hanno lavorato per anni.
Genio ha pagato per tutti ed è evaporato in Argentina; Carlobianchi e Doriano (che sembrano arrivare da un film di Mazzacurati) si sono salvati dalla giustizia ma non dalla vita. Sui loro volti sfatti si legge in filigrana il fallimento, il tempo perduto scandito da un Rolex d’oro. La loro Jaguar rabberciata (simbolo di quel benessere truffaldino sopravvissuto al tracollo) attraversa la pianura in una notte che sembra lunghissima anche quando si fa giorno, come se il domani non arrivasse mai.
I loro sogni sono svaniti ben prima dell’alba e allora, la fortuita conoscenza, tra i bacari di Venezia, di un timido studente di architettura, Giulio (Filippo Scotti che, in una sovrapposizione densa di significato, interpreta anche Genio da giovane), si fa nostalgia e desiderio.
Quasi lo circuiscono: gli fanno da mentori e, allo stesso tempo, vorrebbero possederlo, assaggiare la sua gioventù, insegnargli a cogliere le occasioni (perché non c’è mai un’altra volta). Forse Giulio è la proiezione dei loro sogni infranti, è la realtà che si può ancora plasmare.
Il commento del regista
“Le città di pianura” è un viaggio triste senza essere tragico; amaro ma con un finale dolce come il gelato allo yogurt che Carlobianchi assaggia. È un film sulla vita in cui le parole (forse) importanti si perdono, coperte da un rumore o lavate via dall’alcol e dai caffè corretti-grappa. Meno radicale e disossato del suo folgorante esordio cinematografico (Altri cannibali), il nuovo film di Sossai conferma il talento puro del regista feltrino, l’originalità del suo sguardo, ruvido e intimo, chiuso nei primissimi piani dei protagonisti e poi aperto sulle strade che li portano dalla Valbelluna a Venezia, da Treviso ai Colli Euganei, stazioni di una via crucis profana con due “ladroni” rimasti sulla croce, mentre a Giulio, forse, è dato (ri)sorgere.
A Cannes, dove era già stato con il corto “Il compleanno di Enrico” alla “Quinzaine des Cinéastes” nel '23, Sossai ha raccontato la scintilla di questo film. «Ho voluto aggiornare l’idea di viaggio in Italia di Piovene, Ceronetti e Celati, sulle orme del lavoro fotografico di Guido Guidi, per vedere come questa terra è cambiata, per posare l’occhio sulle superfici. Ho percepito un’aria di solitudine e di desolazione urbana: in giro non c’è più nessuno».
Carlobianchi e Doriano sono due disgraziati, eppure c’è qualcosa di seducente nel loro girovagare alcolico. «Non credo nell’identificazione con i personaggi - continua il regista –. È un processo che non mi interessa. Vorrei, invece, provocare delle piccole meraviglie, descrivere i protagonisti senza giudicarli».
Sossai li racconta in modo brutale e poetico, lasciando che l’immaginazione lavori sottotraccia. Come quando Giulio diventa Genio da ragazzo. «È una sovrapposizione volutamente naïf perché le storie raccontate dagli altri sono palcoscenici sui quali mettiamo in scena i nostri desideri, la nostra immaginazione. E ci sentiamo liberi. Genio, in fondo, è un po’ un contenitore di tante proiezioni. La vita non è mai come ce la aspettiamo. Anche Giulio scopre che ciò che ha solo studiato in pianta è molto diverso dal vivo. È la magia del cinema: mi piace quello che si ispira alla vita, perché non sai mai cosa succede dopo, come un flusso imprevedibile che non deve veicolare un messaggio. E non sempre ci è dato capire tutto: credo sia molto umano fermarsi sulla soglia, perdersi qualche parola, non comprendere completamente ciò che ci succede».
Sulla scelta degli attori del film (scritto, ancora una volta, insieme ad Adriano Candiago, con la colonna sonora, immersiva e paesaggistica, firmata dal cantautore veneto Krano), è Sossai stesso che si è occupato del casting: «È come innamorarsi: non faccio provini; vedo qualcuno che mi affascina e lo scelgo, anche se, dopo, il processo di preparazione con gli attori è molto lungo. Cerco di tirare fuori qualcosa che neppure loro sanno di avere».
E, alla fine, anche in quel costrutto della storia chiamato “Nordest”, Sossai trova qualcosa di dolce nell’amarezza del disfacimento: «In queste rovine qualcosa c’è e dobbiamo accettarlo».
Il successo del film
Il film ha riscosso grande successo: dopo l’apprezzamento riscosso a Cannes, il regista ha presentato il film in varie città venete. Su scala nazionale è uscito il 2 ottobre, mentre inizialmente era stato proiettato, dal 25 settembre, in 16 cinema del Triveneto.
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