L’America al cinema e la sindrome dei complottismi

In poche settimane nelle sale quattro grandi produzioni (“The Apprentice”, “Una battaglia dopo l’altra”, “Eddington” e “Bugonia”) raccontano un Paese sull’orlo della crisi di nervi: lacerato, polarizzato, ferito da scosse reazionarie

Marco Contino
Il film "Una battaglia dopo l'altra"
Il film "Una battaglia dopo l'altra"

L’America è sull’orlo di una crisi di nervi. E il cinema lo percepisce, lo avverte, lo sente: come se il battito del polso di un Paese intero componesse una nuova partitura e, quasi in tempo reale, la mettesse in scena. In poche settimane sono usciti in sala due film molto diversi, anche se il secondo può definirsi il controcanto del primo e viceversa.

“Una battaglia dopo l’altra” di Paul Thomas Anderson e “Eddington” di Ari Aster. E, giovedì, arriverà in sala il nuovo film del visionario e urticante regista greco Yorgos Lanthimos, “Bugonia”, quasi a comporre un trittico attualismo su una società attraversata dalla violenza, dalla paranoia, dalle teorie complottiste.

Il film “Eddington”
Il film “Eddington”

Quella che, oggi, si vede sul grande schermo è un’America lacerata, polarizzata, scossa da movimenti tellurici prodotti da slittamenti incontrollabili di faglie razziste, reazionarie e complottiste.

Il film su Trump

Dall’alto sembra incombere l’ombra lunga di Donald Trump che, non a caso, è stato recentemente portato al cinema da Ali Abbasi nel film “The Apprentice”.

Qui il giovanissimo immobiliarista, prima di diventare tycoon, uomo politico e Presidente degli Stati Uniti”, imparava le tre regole chiave del potere e del successo. “Attacca, attacca, attacca”; “Non ammettere nulla, nega tutto” e “Qualunque cosa succeda, reclama la vittoria e non ammettere mai la sconfitta”.

L’America in tre film

I tre film che, questa settimana, condividono la sala cinematografica, portano alle estreme conseguenze l’ottusità di questi comandamenti che innervano, nel profondo, il ritratto di un Paese che ha provato a lottare, ha perso, scricchiola e ora si dissolve lungo un arco temporale che va dagli anni ’70 (la prima parte di “Una battaglia dopo l’altra”) ad un presente che è già futuro.

Il film "Bugonia"
Il film "Bugonia"

Anzi, in “Bugonia” è una dimensione quasi atemporale, un non luogo di provincia rurale e isolato. Forse l’approdo di un mondo in deflagrazione che segue una precisa “consecutio temporum” e, sin dai titoli, rivela i passaggi dell’involuzione.

“Una battaglia dopo l’altra” parte dal conflitto, dalla rivoluzione mancata e dalla restaurazione di un suprematismo bianco folle e violentissimo che, anche nel nome della setta che lo proclama (I pionieri del Natale), rimanda ad una nascita, alla generazione di un’America nuova.

Che, nel film di Ari Aster, è geolocalizzata e tangibile, tanto che il titolo coincide con la piccola comunità del New Messico, microcosmo (destinato a diventare universo) che implode per accumulazione. Fake news, sperequazione, cospirazionismo da Covid, tecnocrazia e, ancora, suprematismo.

L’America è diventata un panopticon: siamo tutti sorvegliati, in qualsiasi momento e, allora, la diretta streaming, “il qui e ora” dell’immagine diventa l’unica possibile fonte di verità (quella di chiunque), di conoscenza e, infine, di mistificazione.

Per arrivare, infine, al mito, quello, appunto, che ispira il titolo del film di Lanthimos. Se in Virgilio la “Bugonia” (la nascita delle api dal sacrificio e dalla carne marcescente di un bue) diventa allegoria di una rigenerazione naturale, ora la metafora si rovescia. La rinascita è violenta, ambigua e prelude ad una società incardinata sulla manipolazione e il controllo.

La democrazia trasfigurata

“Una battaglia dopo l’altra”, “Eddington” e “Bugonia” originano dallo stesso brodo primordiale, bannoniano e trumpiano, e sono lo specchio di una democrazia trasfigurata in cui il “potere del popolo” è diventato qualunquismo anarchico e paranoico.

Paul Thomas Anderson non era così “politico” dai tempi della riflessione protocapitalista nel film “Il petroliere” (il cui titolo originale - The Will be Blood – già faceva presagire sangue a fiumi…).

Il suo retroterra storico diventa, ora, presente in un saliscendi (come nella meravigliosa sequenza nel deserto) di rigurgiti reazionari e speranze di solidarismo post-rivoluzionario che Ari Aster (regista che, non a caso, viene dall’horror) seppellisce definitivamente, mettendo in scena il collasso istituzionale (che investe gli uomini di Stato: sceriffo e sindaco) e il crollo di ogni certezza in cui la pandemia è l’enzima che accelera la reazione chimica della paura, della disinformazione e del radicalismo.

Che, infine, in “Bugonia” assumono, letteralmente, i contorni dell’alienazione e della disconnessione assoluta dalla realtà. Il sogno americano, ormai, è nebulizzato. Ne resta, solo, una sbiadita scia … chimica. —

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