Cinema al cento per 100, ecco le nostre recensioni dei film in sala dall’11 dicembre
La delicata opera d’esordio di Margherita Spampinato “Gioia mia”. Jodie Foster, psicanalista che non sa ascoltare in “Vita privata”. Benedict Cumberbatch è protagonista del gotico “L’ombra del corvo”. “Bus 47” dello spagnolo Marcel Barrena si ispira ad una storia vera

L’estate come tempo dell’infanzia nell’improbabile e delicato incontro tra un ragazzino smarrito e la ruvida zia siciliana da cui è stato spedito per le vacanze. “Gioia mia” è l’opera prima, semplice ma un po’ magica, di Margherita Spampinato.
Rebecca Zlotowski firma, con “Vita privata” un pastiche insapore. Un po’ thriller psicologico, un po’ commedia ri-matrimoniale, un po’ seduta di autoanalisi, il film non trova mai il proprio centro. Jodie Foster smarrita e cast importante sprecato.
Dylan Southern, all’esordio dietro la macchina da presa, confeziona in modo coerente un film in puro stile gotico: “L’ombra del corvo” declina il tema della elaborazione del lutto in modo originale, acuto e compatto.
Il 7 maggio 1978 Manolo Vital, dirottò simbolicamente un autobus per portarlo fino al quartiere Torre Baró di Barcellona, dimostrando che era possibile raggiungere quella zona con i mezzi pubblici. “Bus 47” racconta una vicenda autentica diventata simbolica. Ultima mezz’ora esplosiva.
Gioia mia
Regia: Margherita Spampinato
Cast: Marco Fiore, Aurora Quattrocchi, Martina Ziani
Durata: 90’
Nico (Marco Fiore: che bravo!) viene spedito in Sicilia dall’anziana zia Gela (Aurora Quattrocchi) per trascorrere l’estate, ora che la sua amata babysitter Violetta non può più occuparsi di lui e i genitori sono impegnati al lavoro.
Di colpo si ritrova catapultato nel Medioevo (così dice lui): Gela è una donna d’altri tempi, dedita alle proprie liturgie quotidiane (rifare i letti alla perfezione, stirare i fazzoletti, giocare a scopa, lasciare sempre chiuse le persiane), poco incline alle tenerezze, religiosa e superstiziosa allo stesso tempo. Per Nico, inizialmente rifiutato anche dagli altri bambini del palazzo, è un trauma ma la noia di quella calda estate germoglia in qualcosa di inaspettato che avvicina due anime sole e, in fondo, non così diverse tra loro nonostante la distanza generazionale.
L’esordio alla regia di Margherita Spampinato profuma di buono e quel titolo (Gioia mia) - espressione familiare a tutto coloro che hanno avuto una nonna del sud - suona dolcissimo e nostalgico.
Nell’assolato e immobile condominio del film si consuma il tempo che non ci sarà più (l’infanzia con tutti i suoi fremiti e le sue insicurezze) e quello che è destinato a finire tra rimpianti e piccoli grandi lutti, in un abbraccio quasi miracoloso, tenuto a battesimo da fantomatici “spiriti” che scandiscono la colonna sonora dell’avvicinamento tra Nico e Gela, così intimo senza mai essere fisico.
La regia di Margherita Spampinato si adagia ad altezza bambino, raccontando con semplicità e innocenza il tempo sospeso di un’estate indimenticabile in cui la modernità è bandita (Nico si dimenticherà persino del cellulare a cui prima si aggrappava) e sostituita da un presente limbico accarezzato da refoli di ventagli agitati nell’aria e impreziosito da scoperte inattese e primi baci.
Un tempo di spensieratezza ma anche di prime o ataviche ferite che Nico e Gela condividono in un silenzio che vale mille parole. (Marco Contino)
Voto: 6,5
***
Vita privata
Regia: Rebecca Zlotowski
Cast: Jodie Foster, Virginie Efira, Daniel Auteuil, Mathieu Amalric
Durata: 105’

Lilian Steiner (Jodie Foster) è una psicanalista americana, ormai perfettamente integrata a Parigi dove, nel suo studio, riceve molto pazienti anche se, da un po’, ha smesso di ascoltarli davvero.
Quando Lilian apprende che una di loro, Paula (Virginie Efira), si è suicidata, è colta da una reazione fisica anomala che le causa una copiosa lacrimazione dagli occhi. Per risolvere il problema, si affida, scettica, ad una ipnotista: la seduta ha successo ma apre delle inaspettate porte del subconscio che le rivelano un legame antico con Paula la cui morte, forse, potrebbe essere stata causata dal marito (Mathieu Amalric) o dalla figlia.
Lilian decide di indagare con l’aiuto dell’ex marito (Daniel Auteil) ancora innamorato di lei. Rebecca Zlotowski con “Vita privata” raduna un cast con la “C” maiuscola (c’è anche un cameo del grande documentarista Frederick Wiseman) ma il risultato è un pastiche senza né capo né coda. Un po’ thriller psicologico, un po’ commedia ri-matrimoniale (che ricorda le indagini di Diane Keaton e Woody Allen in “Misterioso omicidio a Manhattan”), un po’ seduta di autoanalisi, il film non sembra mai trovare un proprio centro, affidandosi a sequenze ad effetto (l’ipnosi) più che ad una narrazione coerente.
Jodie Foster si muove spaesata in una dimensione che, anche per il ruolo e per gli argomenti trattati, dovrebbe penetrare in profondità, rimanendo, invece, in superficie (il tema dell’ascolto del paziente e dei nastri delle sedute, per esempio, poteva essere sfruttato meglio). Epilogo didascalico. (Marco Contino)
Voto: 4
***
L’ombra del corvo
Regia: Dylan Southern
Cast: Benedict Cumberbatch, David Thewlis, Jessie Cave
Durata: 98’

L’elaborazione del lutto è tanto difficile quanto maggiori sono le implicazioni affettive con la persona scomparsa e spesso si trascina nel tempo, partorendo fumi cerebrali e costruzioni mentali molto pesanti da rimuovere, che possono durare anche anni. Nel caso raccontato da “L’ombra del corvo” troviamo un giovane padre che, dopo la morte improvvisa della moglie, in preda al dolore e alla disperazione perde lentamente il contatto con la realtà, nonostante i suoi tentativi di mantenere una vita normale per i suoi due figli piccoli.
Disegnatore e illustratore di professione, pian piano dà forma al dolore e al lutto suoi e dei due bambini, dando copro reale a una presenza misteriosa e apparentemente maligna, che inizia a perseguitarlo dagli angoli più oscuri del suo appartamento. Questa creatura, un gigantesco corvo, che prende vita dalle illustrazioni che l'uomo realizza per lavoro, diventa sempre più concreta e invadente, trasformando la loro vita in un incubo.
Man mano che la sua mente vacilla, la figura di nome Crow, costringe lui e i suoi figli ad affrontare il trauma della perdita e a reinventarsi come famiglia. Per tradurre visivamente e narrativamente le fobie del giovane padre e, forse, dei suoi due bambini, l’inglese Dylan Southern, sceneggiatore e regista esordiente del film, confeziona in modo coerente un film in puro stile gotico, con qualche inflessione nell’horror psicologico che molto deve alla performance del protagonista, Benedict Cumberbatch, evitando esagerazioni che potessero sfociare nel grottesco e ottenere l’effetto contrario, suscitando umorismo involontario.
Ne risulta un film indubbiamente drammatico, con effetti di thrilling e suspence, che molto deve al cinema di genere, ma che risulta alla fine compatto e a tratti davvero acuto. (Michele Gottardi)
Voto: 6,5
***
Bus 47
Regia: Marcel Barrena
Cast: Eduard Fernández, Clara Segura, Zoe Bonafonte, Salva Reina, Óscar de la Fuente
Durata: 110’

Annunciato da un successo molto forte in patria, accompagnato da una serie di ben 5 premi Goya (gli Oscar nazionali spagnoli, come i nostri David di Donatello) tra cui miglior film, miglior attrice non protagonista (Clara Segura) e miglior attore non protagonista (Salva Reina), il film ripercorre quanto accaduto il 7 maggio 1978, quando un autista, Manolo Vital, dirottò simbolicamente un autobus della linea 47 per portarlo fino al quartiere Torre Baró di Barcellona, dimostrando che era possibile raggiungere quella zona con i mezzi pubblici.
L’azione ha avuto un forte impatto simbolico, tanto che quasi cinquant’anni dopo è ancora viva al punto da ispirare il film. Perché l’episodio – e il film gliene dà atto – racconta anche gli insediamenti legati alle emigrazioni interne sotto il regime falangista di Franco, quando negli anni Cinquanta ai margini delle grandi città, si formarono delle autentiche baraccopoli, formate da immigrati interni che dopo aver lasciato le proprie terre si costruirono con le proprie mani le case in cui vivere.
Negli anni Settanta, molte di quelle zone non erano ancora riconosciute come parte della città, mancavano acqua, luce e servizi di base: l’impresa di Vital contribuì a rendere più vivibili intere zone di Barcellona e di altre grandi città.
Barrena delinea le vicende personali dei protagonisti con un’enfasi forse eccessiva, un po’ Quarto stato un po’ commedia sociale, facendo prevalere le storie anche drammatiche degli uni su quelle complessive dei tanti, cosicché nella prima parte il film si dilata in modo un po’ eccessivo con qualche scena di troppo, facendo anche ricorso a soluzioni un po’ troppo manichee nel delineare i personaggi, gli eroi non sono tutti giovani e belli, i falangisti torvi, i poliziotti oscuri e ottusi, i politici della democrazia post-franchista alti, eleganti, giovani, ma egualmente sordi al disagio sociale.
Ma l’ultima mezz’ora merita la visione: quando il protagonista diventa il bus 47, il film ritrova smalto e ritmo narrativo in un finale positivo. (Michele Gottardi)
Voto: 5.5
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