Willem Dafoe guida Biennale Teatro: «Amo il palco, confonde e meraviglia»
Dafoe esplora il corpo come poesia: da Castellucci a Odin Teatret, un cartellone tra meraviglia, fisicità e sperimentazione scenica

«La bellezza del teatro è la sua imperfezione, il suo non essere ripetibile. È l’incontro che crea. L’intelligenza artificiale è sicuramente una risorsa, ma non sono interessato: il calcolo dà freddezza, il teatro è il suo aspetto umano». Willem Dafoe, capelli sbarazzini e giacchino blu notte, cammina sul pavimento alla veneziana di Ca’ Giustinian con nonchalance, incarnando la contraddizione del divo antidivo hollywoodiano.
Quest’anno è il direttore di Biennale Teatro, che apre il suo ricco cartellone il prossimo 31 maggio e che si snoderà tra l’Arsenale e altri luoghi della città (fino al 15 giugno, programma completo su www.labiennale.org).

Il titolo è un gioco di parole: “Theatre is Body – Body is Poetry”, “Il teatro è corpo – Il corpo è poesia”. Affonda le radici nella carriera da attore teatrale di Dafoe: «La gente mi conosce come attore cinematografico, ma forse non sa che lavoro in teatro da 50 anni», sottolinea. Proprio dalla sua esperienza nel Wooster Group (27 anni) e poi con Robert Wilson, Richard Foreman e Romeo Castellucci prende forma il calendario di appuntamenti. L’iconico Lazzaretto Vecchio diventa sede fissa per I mangiatori di patate di Castellucci, l’omaggio alla Biennale di Luca Ronconi del 1975 si traduce in Le nuvole di Amleto del mitico Odin Teatret con Eugenio Barba e Julia Varley, lo stesso Dafoe sale sul palco con Simonetta Solder con l’esperimento performativo No title nel nome di Foreman.
Dafoe parte dal passato per tracciare una via possibile per il teatro del futuro, con la consapevolezza dell’attualità. Da un lato, la lettera degli attori italiani al ministro della Cultura Alessandro Giuli, dall’altra le decisioni controverse dell’America di Trump.
«Non c’è niente di nuovo, la situazione sta peggiorando», dice Dafoe, «sono cresciuto negli Stati Uniti, dove se la cultura non porta profitto non ha valore. Ho sempre cercato di contrappormi a questo. Ho imparato a lavorare con quello che avevo, certo è un bene che il governo supporti la cultura, ma a volte si ritorce contro con tagli ai fondi. La cosa che possiamo fare? Il nostro meglio. E protestare».

Non solo teatro: spunta anche uno spazio cinema, con sorprese e curiosità come Dionysus in ’69, che ripropone in versione filmata da Brian De Palma, Robert Fiore, Bruce Rubin lo spettacolo originale di Richard Schechner dalle Baccanti di Euripide. «In teatro, sei tu in quanto attore a creare i tuoi ritmi, mentre al cinema il prodotto finale è deciso dal regista che si occupa del montaggio», sottolinea Dafoe, «il teatro è più denso, atletico».
Per l’edizione di quest’anno, Dafoe ha voluto attingere al suo bagaglio personale, concentrandosi proprio sulla fisicità del teatro. Per il prossimo, anticipa, l’impostazione sarà diversa.
Mentre abbozza a penna figure geometriche sul block-notes, Dafoe spiega la sua visione. «Il teatro in genere è molto conservatore, ma vorrei che risvegliasse in noi il senso di meraviglia. Amo quando il teatro mi confonde. Deve disturbarci, porci interrogativi. Il teatro è senza limiti, e noi dobbiamo pensare senza limiti».
Ma non è tutto: «Il teatro non è mai finito, perché quello che accade sul palco succede anche a te, mentre sei presente, lo porti con te. Poi certo, alla sera si dorme comunque tranquilli». E scherza: «Ci si potrebbe anche addormentare in teatro, ma spero ci sia abbastanza rumore che svegli».
Dafoe ragiona sul ruolo del linguaggio, della parola, del corpo. Sulla differenza tra un teatro più statico, legato alla testualità, rispetto al dinamismo della performance e a quella fisicità che farà da filo conduttore agli appuntamenti di questa Biennale Teatro. Tra gli altri, ci sarà anche Davide Iodice con il suo irrituale Pinocchio, sottotitolo «che cos’è una persona», che porterà sul palco i corpi di ragazzi affetti da sindrome di Down, di Williams o Asperger. O ancora la street performance We are the Dinosaur, alla ricerca del potere del suono.
«Ho avuto la formazione di attore ben prima di arrivare al cinema», conclude Dafoe, «la verità è che c’è una forma di istinto. Incoraggio tutti a partire da zero, far sì che ogni progetto sia un nuovo inizio. Buttate via il testo, il linguaggio, mentre le esperienze passate verranno da sé, dall’inconscio. Ogni volta, ricomincio daccapo». Senza perdere la meraviglia.
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