Teatro Stabile del Veneto, Beltotto pronto a lasciare la presidenza: «Serve una scossa»
L’annuncio al Consiglio Generale della Fondazione: «È arrivata l’ora di avviare una nuova fase costituente». Mandato a disposizione, ma resterà almeno fino a giugno 2026. La scadenza naturale sarebbe nel 2028

Giampiero Beltotto è pronto a lasciare la presidenza del Teatro Stabile del Veneto. Il presidente, in carica dal 2018, ha annunciato martedì 30 settembre al Consiglio Generale della Fondazione di mettere a disposizione il proprio mandato con due anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale del 2028.
Ma in una nota diffusa dal TSV spiega: «Non intendo lasciare questa istituzione priva di governo e se il Consiglio Generale lo vorrà, resterò fino alla nomina di un nuovo CdA, ma non oltre l’estate 2026». Non dimissioni, dunque, ma rimessione del mandato: un gesto che più che una rinuncia suona come un passaggio di responsabilità.
In sette anni di presidenza i teatri di Venezia, Padova e Treviso hanno visto crescere il numero degli spettacoli e del pubblico, consolidando al tempo stesso il riconoscimento nazionale. Il Teatro Stabile del Veneto è stato confermato dal ministero della Cultura come Teatro Nazionale per il secondo triennio consecutivo, con un posizionamento al quarto posto nella graduatoria italiana.
La programmazione appena approvata, il consenso della platea e i bilanci in ordine vengono indicati da Beltotto come prova di una gestione solida e di un percorso che ha completato la ricostruzione avviata nel 2018. Ma, afferma Beltotto, «considero ultimato il ciclo di ricostruzione profonda che ha portato l’Associazione a diventare Fondazione. Ora serve un nuovo ciclo di lavoro, almeno quinquennale, con regole, obiettivi e risorse destinati alla crescita».
Non c’è polemica, nelle parole del presidente, né - garantisce lui - c’è un senso politico dietro la mossa. L’analisi di Beltotto è lucida e profonda: «Oggi siamo al top, viaggiamo verso i 6 mila abbonamenti, meglio di così non si può fare. Ci siamo arrivati grazie al sostegno del presidente della Regione Zaia, il cui endorsement però è datato. Con questi uomini, queste risorse e questi palcoscenici non si può fare di più. Ecco perché serve un nuovo accordo fra tutti, istituzioni pubbliche e privati, che dia una nuova spinta. Chiamiamola fase costituente».
Quasi inevitabile chiedergli perché mettere in discussione anche la presidenza, visto che il problema non è al timone. La risposta di Beltotto è netta: «Non c’è un uomo solo al comando, c’è una compagine che conta sulle istituzioni. Vogliamo un teatro internazionale? Se la risposta è sì - ma non possiamo darla per scontata - perché non trovare un quarantenne pieno di energie e disposto a misurarsi con questa sfida? Non voglio tirarmi indietro, non ho voglia di mollare la poltrona, ma dopo undici anni può essere legittimo che il nuovo presidente della Regione e il nuovo sindaco di Venezia possano volere forze fresche o che possano avere un’idea diversa del teatro. Oppure può essere che i soci non siano d’accordo sulla convenzione con il teatro di Bucarest che stiamo portando avanti con l’obiettivo di avvicinare al teatro i 250 mila rumeni che ci sono nel Veneto. O ancora, che allargare le nostre collaborazioni ad altri paesi dell’Est Europa non piaccia a tutti. Nulla si può dare per scontato».
Sullo scarso sostegno avuto dall’imprenditoria, Beltotto va dritto al punto: «In una regione che fa 140 miliardi di Pil, noi riceviamo 400 mila euro all’anno dagli imprenditori. Forse è colpa mia che non sono riuscito a sedurli, però non voglio andare in giro a chiedere l’elemosina».
Il senso è alla fine, e non è di rottura, semmai è una proposta: «Diamoci otto mesi di tempo, io sarò al mio posto fino a fine giugno: possiamo mettere giù un grande progetto con radici locali e dimensione internazionale, chiariamo chi ci sta, capiamo se Verona e Vicenza vogliono essere della partita. Se a fine gennaio non è successo niente, allora vuol dire che si può tornare ai teatri municipali. Ma se ci crediamo tutti, allora abbiamo pronto il programma per i prossimi sette anni. L’importante è non morire di accidia».
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