Alessandro Melillo, il mago degli effetti speciali che lavora per Disney e Marvel

Melillo è un compositor veneziano. «Per un film Netflix ho dedicato quasi quattro mesi per un’inquadratura. Il mio lavoro riguarda la parte finale della produzione, diciamo che faccio risultare reale ciò che viene realizzato in digitale»

Camilla Gargioni
Alessandro Melillo al lavoro
Alessandro Melillo al lavoro

Dietro gli effetti speciali di “The Book of Boba Fett”, serie Disney legata al mitico “Star Wars”, c’è Alessandro Melillo. Nato a Mirano, ha vissuto otto anni a Londra ed è rientrato in Italia, a Spinea. Da qui lavora (da remoto) per lo studio milanese 22Dogs, in futuro potrebbe muoversi verso Roma, altra città cardine nel nostro paese per il mondo degli effetti speciali.

Che è un mondo nel mondo del cinema. Nello specifico, Melillo è un “compositor”. C’è tutto un idioletto nel suo mestiere, tanti termini in inglese, ma soprattutto ci sono impegno, dedizione e amore per il cinema. Ne parla con la semplicità di disegnare uno smile (un sorrisetto, ndr) su un foglio di carta.

Melillo, ci spiega esattamente in cosa consiste essere un “compositor”?

«Userò un’espressione semplice, forse un po’ impropria».

Ci dica.

«Mi occupo della parte finale della produzione, tutto ciò che è in tre dimensioni da creature a costruzioni: in sostanza combino i render digitali con il girato in camera. Faccio risultare reale ciò che viene realizzato in digitale».

Ma come si diventa “compositor”?

«Ho frequentato due master, entrambi qui in Veneto. Il primo era all’interno di H-Farm, l’ho seguito nel 2014. Poi nel 2016 sono entrato nella scuola di effetti visivi e computer grafica a Thiene, in provincia di Vicenza. Diciamo che il primo master era in un certo senso più generico, legato alla computer grafica. Nel secondo ho approfondito il “compositing”, appunto”.

Poi l’esperienza londinese.

«Sì, ho abitato a Londra dal 2015, sono rimasto lì fino a un paio di anni fa. Per otto anni ho lavorato con grandi case di produzione, tra serie tv e film: tra questi c’è anche Star Wars».

Una produzione che le è rimasta impressa?

«Sicuramente le serie tv che ho realizzato per Marvel. O ancora, “Secret Invasion” per Disney Plus: su quella ho lavorato quasi un anno, non è stato facile. Idem per “Heart of Stone”, film Netflix con Gal Gadot: ho dedicato quasi quattro mesi per un singolo shot».

Uno shot, tradotto…

«Un’inquadratura. In pratica, in cinque secondi ci sono un centinaio di immagini».

Due anni fa ha scelto di tornare in Italia.

«Esatto. Tra i progetti di cui mi sono occupato, c’è anche il film “Napoli New York” di Gabriele Salvatores, a Roma. Il supervisor agli effetti era un mio docente al master. Devo dire che mi sono divertito».

A proposito di tempi, quanti film e serie televisive macina in un anno?

«Prima della pandemia, per realizzare un film erano necessari di media un paio d’anni. Ora, i tempi si sono accorciati molto: sia perché sono migliorati i software, sia perché c’è più specializzazione nel settore».

Quindi a quanto si è ridotto?

«Basta un anno. Anche le serie televisive si sono evolute e impiegano lo stesso di un film. DI fatto, ogni episodio somiglia a un mini-film, per qualità e per durata di visione».

Perciò…

«L’anno scorso, a Roma, sono riuscito a occuparmi di tre, quattro lavorazioni. Quando ero a Londra, mi è capitato di farne al massimo due in dodici mesi: una sola prendeva otto mesi e si cominciava la successiva ormai alla soglia dell’anno successivo».

In Italia a che punto siamo con il mondo degli effetti speciali?

«Ci stiamo provando. Certo, ci sono molti limiti ancora: ma le scuole si stanno evolvendo, soprattutto in questi ultimi anni. Quando ho svolto i miei studi, ho trovato l’unico master in computer grafica. Ora le possibilità si sono moltiplicate, ci sono anche diversi corsi online e molte occasioni in più per i ragazzi di apprendere il mestiere».

Dopotutto il cinema, per dire un’ovvietà, un po’ l’abbiamo nel sangue.

«È vero. Quando mi sono trasferito a Londra, ho ritrovato ragazzi che avevano frequentato il mio stesso master. L’Italia ha sfornato e continua a sfornare talenti, ma nel nostro paese ci sono ancora pochi studi con effetti visivi».

Dove si trovano?

«Principalmente a Milano e a Roma. Ce ne sono una quindicina in tutto il Paese: se guardiamo ad altri stati europei, come la Francia o la Spagna, la media è di 30, 40 studi. I talenti ci sono, basterebbe investire di più».

Perché è tornato?

«Perché mi mancava l’Italia. E a livello professionale, è una scommessa».

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