Ezio Loik, cursore instancabile, eroe del Grande Torino
La mezzala, fiumana di nascita, ha vissuto gli anni della guerra a Torino. Con Valentino Mazzola uniti fino alla morte nella tragedia di Superga


Si scrive Loik, si pronuncia Loik-Mazzola: un duo inscindibile, come, restando nello sport, Coppi-Bartali, Pietrangeli-Sirola, Burgnich-Facchetti… Polmoni l’uno, cervello l’altro; braccio e mente. E se Valentino Mazzola è diventato un mito del calcio, lo deve anche a Ezio Loik, che in campo correva anche per lui. Insieme, si sono imposti sulla scena nazionale con la maglia del Venezia, per poi esplodere nel Grande Torino. E per concludere tragicamente la loro vicenda umana e sportiva, pochi minuti dopo le 5 del pomeriggio del 4 maggio 1949 sul colle di Superga, nel drammatico incidente aereo che cancellò un’intera squadra diventata leggenda.

Classe 1919, nato a Fiume nell’allora Reggenza italiana del Carnaro, Loik all’indomani della Grande Guerra, in una famiglia del popolo: il papà Amleto lavora in un’industria bellica dove durante il conflitto si fabbricavano siluri.
Ha il calcio nel sangue: viene reclutato dalla Fiumana, che all’epoca milita in serie C, a 17 anni, nel 1936, e subito schierato in prima squadra: con la quale disputerà 41 gare, segnando 12 gol. È una mezzala di movimento, con grande resistenza fisica, che marca stretto, corre come un dannato, e sa pure andare in rete. Sono caratteristiche che lo fanno notare niente meno che dal Milan, il quale lo ingaggia e lo impiega per tre stagioni. Nel 1940 viene reclutato dal Venezia, che lo affianca a un suo coetaneo, Valentino Mazzola, scoperto per caso: in servizio militare in laguna, si è messo in luce in una serie di amichevoli della squadra con le stellette, facendosi notare dagli osservatori della società neroverde.
Gli viene affidata la maglia numero 10, e a Loik la numero 8: nasce una delle più formidabili coppie del calcio italiano, cementata poi nel Torino e in nazionale. Ma intanto fa anche le fortune del Venezia, portandolo al terzo posto nel campionato di serie A, e alla conquista della Coppa Italia a spese della Roma. Quei due sono il valore aggiunto della squadra, e non possono non finire nel mirino delle grandi dell’epoca. A inquadrarli è la Juventus, che ha bisogno di rilanciarsi dopo un troppo lungo periodo di digiuno dal 1935, seguito alla conquista di cinque scudetti consecutivi. Quello è stato anche l’anno della tragica morte in un incidente aereo, del presidentissimo, Edoardo Agnelli. La nuova dirigenza è lontanissima dalla sua stoffa: apre una trattativa infinita col Venezia, che per la supercoppia ha sparato una richiesta di un milione di lire dell’epoca.
Ad approfittarne è il Torino, con un autentico blitz. Il 31 maggio 1942, terzultima di campionato, a fine partita il presidente Ferruccio Novo si presenta negli spogliatoi lagunari, prende da parte il collega veneziano Arnaldo Bennati, e gli mette sotto il naso un assegno da 1 milione 200mila lire, per giunta rimpinguato da due giocatori, Patron e Mezzadra: affare fatto, Juve beffata, e Toro che anche grazie a loro conquisterà cinque scudetti, prima di venire cancellato dalla tragedia di Superga. In quell’abbinata, Mazzola è il campione e Loik il gregario (che comunque in maglia granata arriverà a segnare 70 gol…), ma l’uno impensabile senza l’altro. Lui si guadagna l’appellativo di «elefante» per via dell’incedere e della stazza: 1 metro e 80, spalle da armadio, gambe possenti; fa il portatore d’acqua, ma la coppia è inscindibile, uno non funzionerebbe senza l’altro.
A Torino, Loik mette su famiglia. Assieme all’inseparabile Mazzola ha preso in affitto un appartamento in via Moretta; per andare ad allenarsi, i due prendono il tram, poi raggiungono il campo a piedi; in quel breve tragitto passano davanti a una casa dove abita una signora con cui fanno amicizia, Lilia Jon Scotta. La molla scatta peraltro in un ambiente estremo: un rifugio antiaereo (siamo in piena guerra), dove lei e lui si rifugiano durante i bombardamenti. Si sposano nel settembre 1944, andando in chiesa in tram; l’anno dopo nasce una bambina, Mirella. Ezio mantiene salde le radici istriane: ogni volta che incontra un esule fiumano, gli chiede se abbia bisogno di qualcosa, e spesso e volentieri mette mano al portafoglio. Regolarmente, manda soldi a casa, ai genitori e ai fratelli Egeo ed Ervino.
Del papà, Mirella conserva religiosamente ancor oggi una barchetta: era il regalo che gli aveva chiesto al momento della partenza per Lisbona di quella primavera 1949 che gli sarebbe stata fatale; e questo perché Ezio le cantava sempre una canzone di Nilla Pizzi, «La barchetta in mezzo al mar». Lui aveva mantenuto la promessa: quella barchetta, è stata trovata nel suo bagaglio e consegnata alla figlia, che la conserva «come una reliquia». Il giorno dei funerali, Indro Montanelli ha salutato gli eroi del Grande Torino con un passaggio memorabile, dei suoi: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta». L’ultima trasferta, per il buon vecchio elefante Ezio Loik. —
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