Ezio Loik, cursore instancabile, eroe del Grande Torino

La mezzala, fiumana di nascita, ha vissuto gli anni della guerra a Torino. Con Valentino Mazzola uniti fino alla morte nella tragedia di Superga

Francesco JoriFrancesco Jori
Ezio Loik con la maglia del Torino
Ezio Loik con la maglia del Torino

Si scrive Loik, si pronuncia Loik-Mazzola: un duo inscindibile, come, restando nello sport, Coppi-Bartali, Pietrangeli-Sirola, Burgnich-Facchetti… Polmoni l’uno, cervello l’altro; braccio e mente. E se Valentino Mazzola è diventato un mito del calcio, lo deve anche a Ezio Loik, che in campo correva anche per lui. Insieme, si sono imposti sulla scena nazionale con la maglia del Venezia, per poi esplodere nel Grande Torino. E per concludere tragicamente la loro vicenda umana e sportiva, pochi minuti dopo le 5 del pomeriggio del 4 maggio 1949 sul colle di Superga, nel drammatico incidente aereo che cancellò un’intera squadra diventata leggenda.

Ezio Loik è il quinto da sinistra in posa al fianco di Valentino Mazzola
Ezio Loik è il quinto da sinistra in posa al fianco di Valentino Mazzola

Classe 1919, nato a Fiume nell’allora Reggenza italiana del Carnaro, Loik all’indomani della Grande Guerra, in una famiglia del popolo: il papà Amleto lavora in un’industria bellica dove durante il conflitto si fabbricavano siluri.

Ha il calcio nel sangue: viene reclutato dalla Fiumana, che all’epoca milita in serie C, a 17 anni, nel 1936, e subito schierato in prima squadra: con la quale disputerà 41 gare, segnando 12 gol. È una mezzala di movimento, con grande resistenza fisica, che marca stretto, corre come un dannato, e sa pure andare in rete. Sono caratteristiche che lo fanno notare niente meno che dal Milan, il quale lo ingaggia e lo impiega per tre stagioni. Nel 1940 viene reclutato dal Venezia, che lo affianca a un suo coetaneo, Valentino Mazzola, scoperto per caso: in servizio militare in laguna, si è messo in luce in una serie di amichevoli della squadra con le stellette, facendosi notare dagli osservatori della società neroverde.

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Gli viene affidata la maglia numero 10, e a Loik la numero 8: nasce una delle più formidabili coppie del calcio italiano, cementata poi nel Torino e in nazionale. Ma intanto fa anche le fortune del Venezia, portandolo al terzo posto nel campionato di serie A, e alla conquista della Coppa Italia a spese della Roma. Quei due sono il valore aggiunto della squadra, e non possono non finire nel mirino delle grandi dell’epoca. A inquadrarli è la Juventus, che ha bisogno di rilanciarsi dopo un troppo lungo periodo di digiuno dal 1935, seguito alla conquista di cinque scudetti consecutivi. Quello è stato anche l’anno della tragica morte in un incidente aereo, del presidentissimo, Edoardo Agnelli. La nuova dirigenza è lontanissima dalla sua stoffa: apre una trattativa infinita col Venezia, che per la supercoppia ha sparato una richiesta di un milione di lire dell’epoca.

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Ad approfittarne è il Torino, con un autentico blitz. Il 31 maggio 1942, terzultima di campionato, a fine partita il presidente Ferruccio Novo si presenta negli spogliatoi lagunari, prende da parte il collega veneziano Arnaldo Bennati, e gli mette sotto il naso un assegno da 1 milione 200mila lire, per giunta rimpinguato da due giocatori, Patron e Mezzadra: affare fatto, Juve beffata, e Toro che anche grazie a loro conquisterà cinque scudetti, prima di venire cancellato dalla tragedia di Superga. In quell’abbinata, Mazzola è il campione e Loik il gregario (che comunque in maglia granata arriverà a segnare 70 gol…), ma l’uno impensabile senza l’altro. Lui si guadagna l’appellativo di «elefante» per via dell’incedere e della stazza: 1 metro e 80, spalle da armadio, gambe possenti; fa il portatore d’acqua, ma la coppia è inscindibile, uno non funzionerebbe senza l’altro.

A Torino, Loik mette su famiglia. Assieme all’inseparabile Mazzola ha preso in affitto un appartamento in via Moretta; per andare ad allenarsi, i due prendono il tram, poi raggiungono il campo a piedi; in quel breve tragitto passano davanti a una casa dove abita una signora con cui fanno amicizia, Lilia Jon Scotta. La molla scatta peraltro in un ambiente estremo: un rifugio antiaereo (siamo in piena guerra), dove lei e lui si rifugiano durante i bombardamenti. Si sposano nel settembre 1944, andando in chiesa in tram; l’anno dopo nasce una bambina, Mirella. Ezio mantiene salde le radici istriane: ogni volta che incontra un esule fiumano, gli chiede se abbia bisogno di qualcosa, e spesso e volentieri mette mano al portafoglio. Regolarmente, manda soldi a casa, ai genitori e ai fratelli Egeo ed Ervino.

Del papà, Mirella conserva religiosamente ancor oggi una barchetta: era il regalo che gli aveva chiesto al momento della partenza per Lisbona di quella primavera 1949 che gli sarebbe stata fatale; e questo perché Ezio le cantava sempre una canzone di Nilla Pizzi, «La barchetta in mezzo al mar». Lui aveva mantenuto la promessa: quella barchetta, è stata trovata nel suo bagaglio e consegnata alla figlia, che la conserva «come una reliquia». Il giorno dei funerali, Indro Montanelli ha salutato gli eroi del Grande Torino con un passaggio memorabile, dei suoi: «Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta». L’ultima trasferta, per il buon vecchio elefante Ezio Loik. —

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