Roberto Anzolin, il portiere-gentiluomo che sfidò i giganti e conquistò la Juve
Da Valdagno ai palcoscenici della Serie A, passando per Palermo e Torino: l’avventura di un numero uno silenzioso e coraggioso, capace di fermare Puskas e conquistare uno scudetto con la Juve di Heriberto Herrera


La sua sfortuna è stata di dover competere con una straordinaria generazione di mitici guardiani della porta: Lorenzo Buffon, Lido Vieri, Giuliano Sarti, “Carburo” Negri, Riccardo Albertosi… Ma Roberto Anzolin, classe 1938, vicentino di Valdagno, è riuscito lo stesso a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel mondo del calcio: portiere della Juventus lungo tutti gli anni Sessanta, 230 presenze, uno scudetto e una coppa Italia; perfino una gara in nazionale, sia pure in un’amichevole contro il Messico, e comunque una convocazione per i mondiali in Inghilterra del 1966.
Nasce nella Valdagno baluardo del tessile grazie ai Marzotto: nella loro fabbrica lavora papà Bruno, tra l’altro con precedenti calcistici nel Vicenza anni Trenta, all’epoca in Serie B. Esordisce nella squadra di casa, il Valdagno, anche quello targato Marzotto, che milita in B, dove difende la porta per tre stagioni. Viene notato dagli osservatori del Palermo, che lo compra pagandolo 40 milioni delle vecchie lire, con un’offerta superiore di 5 a quella del Milan, che a sua volta l’aveva messo nel mirino.

Altri tempi, spostarsi all’altro capo d’Italia per il giovane Roberto è un trauma: «Partii con mio padre. Piansi in treno da Padova a Roma, dove un dirigente del Palermo venne a prenderci con un’Aprilia che ci portò a Napoli. Viaggiava come un matto, lo pregai: piano, ho una carriera davanti! Sbarcato a Palermo, mi portarono a mangiare la pasta alla norma a Mondello». In Sicilia gioca per due stagioni: «Vivevo allo stadio, nelle stanze che avevano ricavato per gli scapoli vicino alla tribuna della Favorita».
L’allenatore Čestmír Vycpálek ha grande stima di lui: «Fra i pali era agile come un gatto, praticamente imbattibile, schizzava da un palo all’altro con guizzi felini. Nelle uscite basse era impeccabile, non altrettanto nelle mischie e nelle uscite alte». Si mette in luce in una partita contro la Juventus, parando un rigore di Cervato e capitolando soltanto di fronte a Sivori («che però era in fuorigioco di 5 metri…»).
È anche grazie a questa performance che la Vecchia Signora lo compra pagandolo e non poco: scambio con Tarcisio Burgnich e Carlo Mattrel, e qualcosa come 100 milioni di conguaglio. Ma il primissimo impatto è decisamente traumatico: sul tavolo la discussione sul contratto. Da buon veneto, Anzolin è uno tosto: «Mi sedetti in uno stanzone davanti a Boniperti e altri quattro dirigenti. Mi chiesero: quanti goal pensa di prendere? Risposi: non so, 20-25. Poi parlammo di soldi. A Palermo prendevo 5 milioni, ne chiesi 14. Si alzarono in piedi tutti e cinque: lei è pazzo! Poi, tra una clausola e l’altra, ne presi anche di più». Disputa nove stagioni da titolare, conquistando la Coppa Italia nella stagione 1964-65, e lo scudetto in quella 1966-67, con Heriberto Herrera in panchina: «Sulla carta non eravamo i più forti, ma i nostri punti ce li siamo guadagnati tutti e io presi solo 19 gol».
Ma mentre i compagni nella partita decisiva esultavano sul prato, lui andò controcorrente: «Al fischio finale, tutti saltarono in campo. Io mi tolsi la maglia, la posai a terra con calma e mi incamminai verso lo spogliatoio dove mi fumai una bella sigaretta». È la Juve dei Charles e dei Sivori, dei Castano e dei Leoncini, degli Emoli e degli Stivanello.
È con il gallese che stringe il legame più saldo: «Lui si affezionò subito a me. Ci cambiavamo al Comunale, poi attraversavamo la strada per allenarci al Combi. Charles mi sollevava con un braccio solo e mi portava dal Comunale al Combi così, parallelo al terreno, come fossi un tronco. “John, mettimi giù che mi spezzi tutto!”, gli dicevo. E lui: “Anzolino, tu vieni con me”».
Anche con il mister il rapporto è eccellente: «Heriberto era un generale, duro, diritto come un fusto, si spezzava ma non si piegava. Ci faceva lavorare duro. Ma che soddisfazioni, come riuscì a potenziarmi con i suoi allenamenti, come mi migliorò anche nelle mischie e nelle uscite! Gli devo molto».
Memorabile la gara dei quarti di finale di Coppa Campioni in Spagna contro il Real Madrid: la Juve, che all’andata a Torino ha perso 1 a 0 con rete di Di Stefano, si impone grazie a un gol di Sivori; si va allo spareggio, a Parigi, dove i madrileni prevalgono: «Ma al Bernabéu avevo parato tutto, anche una cannonata di Puskas che mi arrivò al mento e mi stese. Nessuno, prima di noi, aveva sconfitto il Real in quella coppa». Un quotidiano spagnolo titola: “Anzolin meglio di Zamora”, il mitico portiere considerato uno dei più grandi di sempre.
Chiusa la parentesi juventina, gioca nell’Atalanta, nel Vicenza, nel Monza, nel Riccione e nello Juniorcasale; si ritira, ma nella stagione 1984-85 il presidente del Valdagno, suo cognato, lo arruola a 46 anni per rimpiazzare il titolare malato. Il 31 ottobre 1997 rischia la vita per un infarto, ma si riprende; vivrà ancora a lungo, assieme alla moglie Gabriella e i due figli, fino al 6 ottobre 2017, quando si spegnerà a 79 anni nella sua Valdagno, senza riuscire a parare l’ultimo decisivo gol.
Riproduzione riservata © il Nord Est