Cos’è il revenue management e come sta cambiando le nostre vacanze
Il ricorso eccessivo ai prezzi dinamici provoca la perdita di fidelizzazione della clientela. Il manager Firmani: «Chi scopre che altri pagano meno per lo stesso servizio si sente tradito e sceglie di volta in volta le tariffe più basse»

L’aumento dei prezzi ha cambiato il nostro modo di andare in vacanza. L’arte molto italiana della villeggiatura, un periodo relativamente lungo di vita lenta in un posto “nostro”, in cui torniamo spesso, è sempre più un retaggio di un mondo che non esiste più. Oggi tendiamo a trascorrere ferie più brevi in luoghi nuovi, cerchiamo la scoperta più che la conferma, la novità più che la tradizione.
«Dietro questo cambiamento – spiega Marino Firmani, project e temporary manager con grande esperienza nel settore del turismo e del marketing – c’è una somma di ragioni: su tutte, la perdita di potere contrattuale da parte della clientela e la mancanza della “risorsa” tempo a nostra disposizione».
Dott. Firmani, perché torniamo più di rado nelle località turistiche dove siamo stati?
«Perché ci fidiamo meno delle aziende del turismo. La pratica del revenue management spinto, dell’eccessiva dinamicità dei prezzi, comporta un calo della fidelizzazione: chi scopre che altri pagano meno per lo stesso servizio, si sente tradito, diventa nomade e sceglie di volta in volta in volta la tariffa più bassa»
E questo è un problema per le attività
«Sì. Se nel breve queste pratiche possono aumentare in ricavi, a lungo andare, se applicate senza equilibrio, producono effetti controproducenti, come la perdita di una clientela fissa. Una delle storiche regole del marketing è: “Costa più acquisire un cliente nuovo che mantenerlo”. Serve mirare a far tornare nella propria struttura ricettiva o nel proprio stabilimento balneare il 40-50% dei clienti».

Come si trattengono i clienti?
«Prima di tutto serve il buon senso. La correttezza deve prevalere su tutto, le persone la riconoscono. Poi, dal punto di vista turistico, occorre migliorare i servizi e far crescere la qualità dell’offerta. Senza dimenticare quanto sia fondamentale offrire lavoro stabile e qualificato».
Come si è arrivati a questa situazione?
«Negli ultimi anni, in Italia c’è stata una doppia velocità tra il turismo e gli altri settori, in particolare il manifatturiero. Il primo negli ultimi anni è cresciuto ma non abbastanza per compensare la perdita del benessere generale dal calo del secondo. Il risultato è che è diminuito il potere contrattuale della popolazione: ciò a fronte di un significativo aumento dei prezzi nel settore turistico e nei servizi correlati: secondo Assoconsumatori, le strutture ricettive costano il 34% in più dal 2020, mentre, come riporta il Codacons, rispetto allo scorso anno i prezzi dei voli nazionali sono aumentati di più del 35%, del 3,4% quelli degli stabilimenti balneari, tanto per fare due esempi».
Si tratta di aumenti giustificati?
«Ciò che pesa maggiormente in questo rialzo è la crescita del costo dell’energia: la riduzione di essi rappresenta la vera leva strategica per stimolare la domanda interna. Un aiuto, in tal senso, potrebbe arrivare anche dal Pnrr, che finora ha mostrato poche attenzioni concrete sul tema. Poi le politiche così dinamiche sui prezzi, che variano in base a domanda, tasso di occupazione della struttura, concorrenza e vicinanza alla data di soggiorno, sono state una scelta che, come si diceva hanno diverse controindicazioni. Poi capisco che è difficile investire in un settore attraversato da così tante incertezze, su tutte quella sulle concessioni balneari».
Quindi, quali sono le soluzioni per arginare il calo di presenze nelle località turistiche?
«Buon senso, miglioramento della qualità dei servizi e equilibrio nelle pratiche di revenue management. Così si può contribuire a mitigare il calo delle presenze turistiche, che quest’anno in Italia, secondo i dati disponibili, sono scese del 10-15% rispetto al 2024».
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