Se l’immigrazione non basta più, ecco come siamo finiti nella trappola demografica

Il sociologo Vittorio Filippi: l’immigrazione non riesce più a invertire l’invecchiamento della popolazione. «Diminuite del 27,8% nell’ultimo decennio le nascite da madri immigrate, calato anche il tasso della fecondità»

Valentina Calzavara
Il sociologo Vittorio Filippi
Il sociologo Vittorio Filippi

Immigrazione e inverno demografico nel nostro Paese. Per anni la popolazione straniera è stata l’unica a tenere alta l’asticella della natalità nell’Italia della crisi demografica. Ma nell’ultimo decennio questa tendenza è andata via via rallentando.

Esattamente come le italiane, anche le madri straniere hanno iniziato a posticipare in avanti la gravidanza e ad avere figli con una frequenza inferiore rispetto al passato.

Nel concreto: le nascite da madri straniere sono diminuite del 27,8% nell’ultimo decennio, così come il tasso di fecondità totale è passato da 2,8 nel 2002 all’1,9 nel 2022; al contempo, l’età media del primo parto è salita da 27,7 a 29,2 anni (avvicinandosi ai 32,2 delle italiane).

Se all’inizio la ragione è stata attribuita a fattori contingenti, oggi la tendenza sta diventando strutturale: la popolazione straniera si sta pienamente allineando a quella italiana. Pesano i mutamenti sociali e la mancanza trasversale di politiche di welfare a sostegno della genitorialità. «L’Italia è finita in una “trappola demografica”» afferma il sociologo Vittorio Filippi.

Che cosa significa?

«Dobbiamo premettere che i fattori che incidono sulla natalità sono molteplici (economici, sociali, culturali, strutturali) e non si sa ancora a livello scientifico quali siano quelli più importanti.

Tuttavia, siamo nella “trappola demografica” perché non basta dire, bisogna fare più figli, per attuare questo proposito ci vogliono le mamme, ma le potenziali madri italiane (per effetto della denatalità dei decenni precedenti) sono in numero inferiore rispetto al passato, al punto che oggi non si riesce più a compensare.

Le politiche pronataliste, che si basano su risorse o servizi, ad esempio i bonus o gli asili nido, funzionano poco se mancano le madri. A questo si deve aggiungere un numero crescente di donne che si sentono realizzate anche senza la maternità».

Come si inserisce l’immigrazione in questa fotografia?

«L’immigrazione non risolverà l’inverno demografico, ma riesce ancora a stemperarne almeno in parte gli effetti negativi».

In che modo può essere letta la proposta della comunità argentina, con trecento persone che sarebbero pronte a venire in Italia per lavorare e stabilirsi nel nostro Paese, anche ritrovando le proprie radici (dato in molti casi si tratta di figli di seconda e terza generazione di persone emigrate in Argentina nel secolo scorso)?

«Non sarà questa la panacea alla denatalità drammatica del nostro Paese. Ma va rilevato che le migrazioni, fatte generalmente da persone giovani vanno a “ringiovanire” anche la popolazione locale, mitigando gli aspetti negativi dell’invecchiamento.

Positivo è anche il contributo migratorio in termini di offerta sul mercato del lavoro e il vantaggio di accogliere una popolazione immigrata socialmente compatibile, perché culturalmente e linguisticamente affine alla popolazione di accoglienza. Detto questo non dobbiamo pensare ingenuamente o superficialmente che i cittadini immigrati mantengano anche in Italia i tassi di riproduzione del Paese di origine, per ovvi motivi, anche di tipo economico, e per via di un adeguamento ai ritmi riproduttivi del Paese ospitante».

Siamo ancora in tempo per un welfare efficace pro-natalità?

«Anche nella più prolifica Francia la popolazione immigrata si adegua rapidamente al tasso di fecondità del Paese ospitante, esattamente come in Italia, ciò significa che è un fenomeno generale.

Pesa anche il fatto che gli immigrati, solitamente, ricoprono posizioni lavorative medio-basse in termini di salari e questo incide sul piano riproduttivo. Le politiche vanno fatte per il primo ingresso e per abitazione e tutele. Se c’è una stabilità lavorativo-economica possono aumentare anche le probabilità di voler generare dei figli, ma l’allarme denatalità in Italia è scattato quarant’anni fa. Per dirla con una metafora: la medicina data al paziente troppo tardi, non lo guarirà». 

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