Tajani alza la posta e vince il primo round con Salvini. Ma la mossa alimenta sospetti

Malumori nella Lega, che cerca di blindare subito la candidatura di Stefani a governatore. Dietro alle manovre del presidente di Forza Italia c’è chi vede sue ambizioni quirinalizie. Per il Carroccio il tema ora diventa trovare un ruolo a Zaia

Carlo BertiniCarlo Bertini
Il deputato leghista Alberto Stefani
Il deputato leghista Alberto Stefani

C’è già chi ha ribattezzato Antonio Tajani il Richelieu della nuova destra. Perché se ormai si può considerare finito nel cestino dei rifiuti il tentativo disperato della Lega di far avere un terzo mandato a Luca Zaia, allora la vittoria ai punti va attribuita al presidente di Forza Italia, è evidente che questo round tutto politico con Matteo Salvini lo ha vinto lui.

Lo si capisce dai sospetti velenosi che emergono come miasmi dal Carroccio, dove qualcuno ai piani alti si è convinto che «Tajani ha fatto di sicuro un accordo con il Pd per ingraziarsi Schlein in vista della prossima partita del Quirinale».

Tramonta l’ipotesi del terzo mandato: «Per Forza Italia il dibattito è chiuso»
La redazione
La premier Meloni con i vice Tajani e Salvini

Fa niente che il successore di Mattarella andrà scelto nel 2029, un’era geologica, fa niente che non è neanche scontato che sarà il centrodestra a sceglierlo. Certe partite vanno imbastite per tempo e questa è la più importante per tutti i players papabili, categoria cui il cauto Antonio può essere iscritto d’ufficio. Se non altro per il suo ruolo, che lo porta in contatto con tutte le cancellerie, e per il timido apprezzamento che potrebbe riscuotere dalle opposizioni rispetto ad altri nomi. Quindi garantire a Schlein di non avere tra i piedi una terza candidatura di Enzo De Luca in Campania, sarebbe un bel regalo a futura memoria.

Comunque sia, lo scontro più importante finora tra i leader di Forza Italia e Lega termina con il ripiegamento del Capitano. Il quale però, come notano i perfidi fratelli -coltelli, «ha voluto mettere una pietra tombale sul terzo mandato subito dopo aver sentito la chiusura di Tajani, senza neanche stracciarsi troppo le vesti».

Come a dire che a Salvini non andava granché di intestarsi una battaglia sulle poltrone e che del destino di Zaia gli interessa fino a un certo punto: ora vuole solo assicurarsi di poter far sedere uno dei suoi sul trono del Veneto, magari il segretario della Liga e uno dei suoi quattro vice, Alberto Stefani.

Tanto da incalzare gli alleati, con un «e ora scegliamo i candidati migliori per le regionali».

Basta ciance insomma, altro che ius scholae. Sì, perché la condizione posta da Tajani di una legge sulla cittadinanza è sembrata ai due partiti alleati la tipica provocazione di chi la spara così grossa perché non vuole arrivare a una mediazione. E chi si è beccato pure il soprannome che aveva Forlani, di Fregapiano, ovvero di uno che con poche parole tende a trattare su tutto, se fa un’uscita così tranchant fa nascere i peggiori sospetti.

Quanto a Zaia, il suo nome comparirà nel simbolo per le regionali, con formula ancora da decidere, che potrebbe essere Lega con Zaia o qualcosa del genere. Visto che per andare in coalizione, FdI e FI chiederanno che il governatore uscente non presenti simboli e liste personali per non cannibalizzare gli altri partiti.

Comunque sia, ora per Salvini si apre il problema di dove ricollocare il Doge. L’altra sera circolava in Transatlantico alla Camera l’ipotesi che potesse andare a ricoprire il ruolo di Daniela Santanchè, al Turismo. Ma lui aspira a entrare invece nel prossimo esecutivo con un ministero pesante, «perché non vado al governo per restarci solo un anno», avrebbe detto ai suoi amici.

A questo punto la questione terzo mandato è chiusa, anche se una finestrella fino a martedì resta in teoria aperta. Per gli amanti dei colpi di scena, infatti, solo quel giorno scadono i tempi per gli emendamenti alla legge sui Consigli regionali, veicolo scelto per il blitz. Un limite procrastinato martedì scorso dal presidente della Commissione proprio per dare ai leader il tempo di decidere che fare. Chi volesse riaprire la discussione in teoria sa che potrebbe farlo.

«E in ogni caso far approvare la legge da Camera e Senato entro settembre, quando verranno convocati i comizi elettorali, sarebbe un terno al lotto», spiegano dalle stanze del governo. Con una piccola curiosità che sembra tagliare la testa al toro: «Il regolamento della Camera impone che le leggi con corsia preferenziale debbano restare almeno trenta giorni in commissione prima di essere votate in aula. Fatevi i conti, con l’agosto di mezzo...». Perché rinviare il voto delle Regioni in primavera è un’ipotesi scartata, visto che «il Capo dello Stato sarebbe di sicuro contrario». 

Riproduzione riservata © il Nord Est