Calenda ago della bilancia: la futura legge elettorale potrebbe diventare un boomerang per Meloni
Con il centrodestra al 47,6% e il centrosinistra al 44,7%, il 3% di Azione può ribaltare gli equilibri del 2027. Pressioni da destra e da sinistra, mentre il premio di maggioranza rischia di saltare sotto il 40%

C’era un tempo, nella prima e seconda repubblica, in cui i protagonisti della scena politica erano piccoli partiti che riuscivano a far cadere i governi come nulla fosse. Romano Prodi ne sa qualcosa, perché nel 2006 ne aveva ben due nella sua maggioranza. «Romano, i miei non li tengo più!» era la frase che Clemente Mastella (con i suoi tre senatori e l’1,4 per cento dell’Udeur) urlava per strappare qualcosa. E ancora più duri gli scontri con Fausto Bertinotti, forte del 6 per cento, che ritirò l’appoggio e mandò in crisi l’esecutivo.
Ebbene, malgrado Giorgia Meloni voglia «dare stabilità al Paese» introducendo un premio di maggioranza, il diavolo si nasconde nei dettagli. E uno in particolare dovrebbe farle tremare i polsi: se i numeri attuali restassero immutati, la minuscola creatura di Carlo Calenda, Azione, potrebbe divenire l’ago della bilancia del 2027. L’ultimo sondaggio del 5 dicembre dà il centrodestra al 47,6% e il centrosinistra al 44,7%, a soli tre punti.
Attenzione: nel “campo largo” (Pd, M5s, Avs, Iv, +Europa) non è conteggiata Azione, che viaggia intorno al 3%. Quindi quei voti faranno gola a molti e paura ad altri. Se Calenda stringesse un accordo con la sinistra come ha fatto Renzi, l’alleanza di Meloni perderebbe il vantaggio. Il campo largo avrebbe tutto da guadagnare dall’intesa con il pur «inaffidabile» Calenda, come lo definiscono nel Pd.
Viceversa, Azione potrebbe essere corteggiata da destra. Da mesi Calenda subisce attenzioni di Forza Italia, che punta al grande abbraccio, magari con un posto da ministro al prossimo giro. Ma lui non abbocca e vuole tenersi le sue fiches: quando dice al Foglio «per noi è normale parlare con FI… ma restiamo fuori dai due poli», fa capire di voler tenere le mani libere.
Più a ridosso del voto, se facesse un accordo con un polo, l’altro partirebbe sconfitto. Se invece corresse da solo, dovrebbe superare lo sbarramento al 3% che FdI vuole mantenere nella nuova legge; FI vuole alzarlo al 4 per spingerlo all’alleanza.
Ma chi teme di più è Matteo Renzi. L’ex premier sa che il progetto di una “casa riformista” tra il 5 e il 7 per cento rischia di essere vanificato dall’imprevedibile Calenda: quel bacino di moderati delusi potrebbe essere calamitato da Azione, specie al Nord.
E qui entra l’altro dettaglio diabolico evocato da Roberto D’Alimonte: l’eventualità che nessuno superi il 40% e che non si possa attribuire il premio di maggioranza. In quel caso il sistema – proporzionale – avvantaggerebbe i terzi poli. I seggi verrebbero ripartiti proporzionalmente e i voti centristi sarebbero decisivi per formare una maggioranza: Azione diventerebbe l’ago della bilancia. Insomma, la futura legge Meloni potrebbe perfino rivelarsi un boomerang per la premier.
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