Fontana: «Sì alle due Leghe, quella nazionale e quella del Nord»
Il presidente della Lombardia: «È l’ora di lanciare il progetto territoriale, Zaia potrebbe essere un ottimo referente della questione settentrionale»

Attilio Fontana parla dal trentacinquesimo piano di Palazzo Lombardia. Alle sue spalle, le stigmate di sette anni al vertice della Regione: una copia della Coppa Campioni, un manifesto che ricorda il referendum per l’Autonomia fatto nel 2017, una fotografia dei cerchi olimpici e naturalmente l’Alberto da Giussano. Simboli di un partito che, sui simboli, ha plasmato la sua natura.
Si torna a parlare del modello Cdu-Csu bavarese, mutuabile anche per la Lega. Ma di “Leghe”, pur non nello statuto, ne esistono già due. Non teme che ufficializzarlo potrebbe tornare a turbare un partito, che proprio ora sembrava essersi rimesso in carreggiata?
«Nella vita ci sono sempre dei rischi. Ma le fondamenta della Lega sono quelle di un partito dalla grande propensione territoriale, attento alle esigenze della gente».
Le fondamenta della Lega o della Lega Nord?
«La mozione presentata da Alberto Stefani al Congresso federale, e approvata all’unanimità, andava in questa direzione: la natura del partito è stata confermata dalla Lega odierna. Ora è il momento di dare seguito a quell’iniziativa».
Cioè?
«Con un partito nazionale e di uno più radicato al territorio».
Ma se ne parla da una vita...
«Solo da quando la Lega è diventata un partito nazionale».
Un errore?
«Ma no, purché la direzione nazionale non ci impedisca di mantenere le nostre peculiarità: sono queste che arricchiscono il partito».
Non poteva essere il Congresso federale il luogo per discuterne?
«Lo è stato, con la mozione di Stefani. Abbiamo dimostrato che la Lega territoriale è ancora la Lega vera. Passata quella linea, la nuova organizzazione del partito ne è la diretta conseguenza».
Quindi, ora, cosa succede?
«Intanto, inizieremo a parlarne all’interno del partito. E poi vedremo».
Quindi lei confida in una Lega che continui a parlare di ponte sullo Stretto, con a fianco un partito che si occupi dei temi territoriali...
«Una Lega nazionale che continui a parlare dei temi di carattere internazionale – rapporti con l’Ue, guerre, politiche economiche e sociali – e una Lega che si occupi del territorio».
Con Zaia referente per il Nord?
«Queste sono dinamiche interne al partito. Io posso dire che Luca Zaia è una persona capace, intelligente e credibile, come hanno dimostrato le elezioni. Farebbe bene in qualsiasi ruolo».
Compreso quello di referente delle Regioni del Nord?
«Avrebbe tutte le doti per ricoprire quel ruolo».
E Attilio Fontana?
«Attilio Fontana è già impegnato e vuole dedicarsi alla Regione Lombardia».
Ma i due ruoli mica sono incompatibili...
«Già fare soltanto il presidente di Regione è impegnativo, non riuscirei ad aggiungere un altro incarico».
Continuiamo con il futuro di Zaia: ministro “nonostante” Salvini...
«E perché mai dovrebbe essere contrario? Zaia sarebbe un valore aggiunto in ogni ruolo».
Due Leghe: potrebbe essere una maniera per affrancarsi dalla linea a tratti salviniana, a tratti vannacciana – quella di un partito dalle posizioni filorusse, che strizza l’occhio ai nazionalismi europei e che poco ha a che fare con la storia del partito?
«Queste sono tutte questioni interne, che non si risolvono con una diversa organizzazione. Comunque, c’è sostegno a una linea, che è stata riconosciuta dal nostro movimento».
Quindi Salvini non si discute?
«Nessuno l’ha mai messo in discussione».
Esplicitamente, no...
«Neanche implicitamente».
E alla vigilia delle elezioni in Veneto, al pranzo tra governatori del Nord, di cosa avete parlato?
«Delle prospettive del Veneto, del lavoro fatto finora e dei problemi da risolvere. È stato un pranzo tra vecchi amici, abbiamo parlato anche di cose personali. Una giornata piacevole, per sostenere Luca nell’ultimo giorno di campagna».
Bastava una telefonata. Con la foto, avete voluto mandare un messaggio...
«Non abbiamo mica problemi a farci vedere. La presenza fisica è importante. E, per me, con quella foto ha guadagnato 100 mila voti (ride, ndr)».
Certo che se pure quattro leghisti come voi si ritrovano davanti a un piatto di sushi...
«In effetti, avrei preferito la polenta. Però io ho mangiato dell’ottimo pesce crudo, più che sushi».
Avete parlato anche di infrastrutture?
«A dire il vero, no».
Pallino di Zaia, e ora di Stefani, è la costituzione di una holding autostradale unica per il Nordest, con perno in Cav. Vi sta bene? Il tratto tra Brescia e Verona, naturalmente, insiste anche su territorio lombardo.
«Ne parleremo. Forme di compensazione sono possibili: potremmo diventare soci della holding o trovare altre soluzioni convenienti per entrambe le regioni. Non abbiamo mai avuto conflitti con il Veneto».
Maurizio Fugatti, al nostro giornale, ha detto che la Lega deve tornare a essere sindacato del territorio. Quindi non lo è più?
«Secondo me, più che tornare a essere sindacato del territorio, deve esserlo ancora di più. Ma la Lega lombarda lo è già».
Si dice che la candidatura leghista in Lombardia sia stata sacrificata durante le trattative in Veneto. Cosa pensa?
«Questo io non lo so. A me Salvini non ha detto niente e la domanda andrebbe posta a lui. Ribadisco che bisogna insistere affinché tra due anni il candidato sia ancora leghista».
Tra due anni o solo tra uno?
«La legge dice che le elezioni si dovranno tenere tra il gennaio e il marzo 2028, e chi mi ha votato pensa lo stesso. Ad ora, parlare di voto anticipato sarebbe una forzatura inaccettabile. Dopodiché, se sopravverranno diverse disposizioni normative o saranno fatte altre valutazioni, ne prenderò atto. Ma è un’ipotesi che mi lascia perplesso».
L’obiettivo dovrebbe essere cedere la Regione a FdI...
«Questo lo dice lei».
È contento che siano andati male alle elezioni venete?
«Sono contento che sia andata bene la Lega. Molto bene».
Quindi pretenderete la Lombardia?
«La richiesta è già stata avanzata e approvata all’unanimità dal direttivo regionale. Il prossimo candidato del centrodestra deve essere leghista».
Ma perché?
«Perché ci sono persone che sono assolutamente più compatibili di altre con la storia e il passato di un territorio».
Non è che parlare di “territorio” è anacronistico?
«Forse il territorio non interessa ai giovani. Ma le aggregazioni regionali, che sostengono questioni specifiche, sono il futuro. Pensiamo ai risultati ottenuti in Lombardia sull’automotive: i territori hanno conoscenza e interesse più solidi di Roma sui temi specifici. Non si chiamerà federalismo, ma è un fenomeno che sta attraversando tutta l’Europa».
E perché la Lega ha perso così tanti voti, allora?
«Io guardo l’ultima tornata elettorale, e la Lega ha dimostrato di essere forte. Nelle elezioni territoriali la persona vale molto più del partito».
Nel 2028, o 2027, la Lega sarà il primo partito in Lombardia?
«Se candiderà una persona credibile, che rappresenti i lombardi, sì».
E alle politiche?
«Chi vivrà vedrà».
Quindi l’Autonomia: c’è la legge, ma al momento è una scatola vuota. È fiducioso?
«Abbiamo firmato le pre-intese, soprattutto in materia sanitaria: le risorse che arriveranno in regione potranno essere investite in ciò che si ritiene necessario. Questa è una rivoluzione copernicana».
Lo sarà, forse. I Fratelli, in questi mesi, vi hanno messo i bastoni tra le ruote. Lo farete anche voi, con il premierato?
«Queste cose, in un governo coeso come il nostro, non solo non si dicono, non si pensano neanche».
Ma se siete il giorno e la notte, come fate a essere così coesi?
«Questo governo sarà forse il più stabile nella storia della Repubblica: dimostrazione che non ci sono veti reciproci, ma condivisioni. La credibilità internazionale, ad esempio, non è mai stata così alta. Almeno in questo siamo riusciti a “lombardizzare” l’Italia».
O a “venetizzarla”...
«Ora non ci allarghiamo...».
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