Gentiloni: «Su Gaza atti coerenti ai valori, per la Flotilla serve mediare»
L’ex presidente del Consiglio e commissario Ue sarà lunedì a Gorizia: «La guerra in Ucraina? L’esito deciderà se saremo o no attori globali»

«L’Europa ha il dovere di esserci, di agire in coerenza con i propri valori. Non tutto si misura con l’utilità immediata delle decisioni: l’indignazione dei cittadini deve trovare una rappresentanza politica, non degenerare in altro».
Paolo Gentiloni, già presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e commissario europeo agli Affari economici e monetari, anticipa alcuni temi del delicato contesto internazionale su cui lunedì al Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia, dalle 18.30, dialogherà con il vicedirettore del gruppo Nem e del nostro giornale Fabrizio Brancoli e 14 studenti degli istituti superiori goriziani e sloveni.
Partiamo da Gaza. Si sta facendo troppo poco?
«Le leve per provare a fermare Netanyahu e la tragedia a Gaza sono in mano agli Stati Uniti. Finora l’amministrazione americana è stata accondiscendente, forse sottovalutando l’isolamento a cui il premier israeliano sta portando Israele. Un isolamento reso evidente dall’accoglienza ricevuta all’Onu. Che è motivo di enorme preoccupazione e tristezza».
E l’Europa?
«Non avere in mano le chiavi del conflitto non ci assolve. Dopo mesi di esitazione la Commissione europea ha avanzato proposte importanti. Non cambieranno le scelte di Netanyahu, lo sappiamo bene, ma sono atti dovuti in coerenza con i nostri valori».
Concretamente, che cosa deve fare l’Ue?
«Dare voce all’indignazione crescente, evitando che degeneri in sentimenti antisemiti e senza dimenticare la questione degli ostaggi nelle mani di Hamas».
L’appello di Mattarella alla Flotilla?
«Si dovrebbe dar seguito alle parole del presidente che riconosce il valore dell’iniziativa e al tempo stesso getta le basi per una mediazione diplomatica».
In Ucraina invece?
«Quello dell’Europa, in questo caso, è un ruolo fondamentale. Siamo da tempo il principale sostegno economico a Kiev e da alcuni mesi anche il principale fornitore di aiuti militari. Decisioni come l’utilizzo dei profitti degli asset russi congelati in Europa, poco meno di 200 miliardi, segneranno il futuro dell’Ucraina: prenderle, queste decisioni, significa darle la possibilità di una pace degna, non prenderle rischia di tradursi in un via libera per Putin».
Ma ci si può accontentare di un’Europa che fa solo “abbastanza”?
«Diciamo che ha saputo sopperire all’atteggiamento ondivago degli Stati Uniti. Nonostante le resistenze di Paesi come Ungheria o Slovacchia, si è comunque arrivati a circa 150 miliardi di sostegni, anche militari».
Manca un leader europeo capace di negoziare la pace?
«La pace sarà possibile se l’Ucraina potrà resistere. La risposta europea è stata corale e convincente, tanto da coinvolgere anche la Gran Bretagna nonostante la Brexit. Il futuro dell’Europa dipende dall’esito di questa guerra: se saremo attore globale o vaso di coccio nel nuovo confronto tra potenze mondiali».
Il comportamento dell’Italia?
«Su Gaza ha mostrato lentezza e riluttanza, ma recentemente ho notato una maggiore sensibilità nelle parole di Meloni e Crosetto. Sull’Ucraina, nonostante le divisioni nella coalizione, la premier ha comunque mantenuto l’Italia a bordo della risposta europea, anche se in posizione un po’ periferica. Sul fronte economico, invece, vedo un governo troppo allineato a Trump. E ciò penalizza i nostri interessi nei rapporti commerciali, come dimostrano anche le ultime minacce del presidente americano sui dazi, con contenuti peraltro ancora non chiari».
Stiamo sottovalutando il rischio di un conflitto globale?
«Non siamo alla vigilia di una guerra mondiale, ma dobbiamo evitare di fare la parte dei sonnambuli, come nel 1914. Alcuni segnali recenti, penso alle provocazioni nei cieli del Nord Europa, impongono alla Nato di ribadire la propria presenza: senza escalation, ma con chiarezza».
In un clima di così grande incertezza che significato assume Go!2025?
«È un modello straordinario di riconciliazione e convivenza. Partecipare a questo progetto oggi significa dare voce a un’Europa che non vuole chiudersi ma dialogare, proprio dai luoghi che hanno conosciuto divisioni e conflitti».
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