Prezzi degli alimenti alle stelle nei Balcani: nei negozi burro e olio finiscono sottochiave
La spesa a Belgrado e Sarajevo è più costosa che a Vienna e Berlino causa guerra e inflazione. Consumatori esasperati: non ce la facciamo

BELGRADO L’esperimento è semplice. Lista della spesa in tasca, si entra in un supermercato di una grande città, in questo caso Belgrado, per comprare quello che più o meno tutte le famiglie tengono in dispensa per sfamare quattro persone. Olio di semi? Relativamente non troppo caro, l’equivalente di 1,90 euro. Per il latte? Se si trova quello di produzione locale, da mesi sempre meno presente sugli scaffali a causa della crisi del comparto, si può spendere 1,50 euro, la metà per la farina.
Le note dolenti
Poi arrivano i tasti dolenti. Burro? Si può arrivare a 4,60 euro per 200 grammi di buona qualità, due euro per 200 grammi di caffè, altri due per dieci uova. Il conto? Circa 13-14 euro, a seconda del negozio, e nella lista non sono stati inclusi altri prodotti-base, come un po’ di carne o legumi. È quanto spendono ogni giorno centinaia di migliaia di serbi, ma lo stesso discorso vale per i bosniaci, i kosovari, i macedoni, costretti a pagare lo stesso dei tedeschi o degli austriaci, per certi prodotti addirittura di più degli abitanti di Vienna e Berlino, che possono però contare su salari quattro volte superiori. Ma serbi e bosniaci, ad esempio, pagano di più anche altri prodotti, dal detersivo per piatti al dentifricio fino allo zucchero, arrivando agli ovetti di cioccolata per bambini.
Le cause
È il risultato sempre più evidente della guerra, della crisi energetica e dell’impennata dell’inflazione, che sta mettendo sempre più in crisi i cittadini di Paesi ancora fuori dalla Ue, dove i salari non crescono o lo fanno troppo poco, mentre i prezzi del cibo esplodono. «Mio figlio a Berlino spende meno per mangiare di quanto io sono costretto a pagare», spiega così Vladimir, fuori dal supermercato belgradese scelto per l’esperimento, mentre un’altra pensionata si lamenta lì vicino, assicurando di non poter andare più avanti con una pensione di circa 300 euro al mese. Problemi che sono sempre più marcati e rischiano di provocare tensioni sociali. Non solo Austria e Germania, anche «la Croazia», segnata dalla crescita dei prezzi post-euro, «è più economica della Bosnia ed è assurdo, perché i croati hanno un’Iva maggiore e in passato tutto costava più là che qui», ha denunciato in questi giorni Edin Pasic, presidente dell’Agenzia per la protezione dei consumatori di Sarajevo. Sarajevo dove continuano a far discutere i confronti con i prezzi austriaci e tedeschi fatti anche dai media locali, soprattutto per quanto riguarda burro e olio di semi, più economici nei Paesi Ue più ricchi che in Bosnia e negli altri Paesi balcanici.
Gli altri dati
Altri dati confermano il quadro. Il portale Espreso, ad esempio, ha ricordato che lo stipendio medio in Bosnia è di circa 500 euro, mentre per una famiglia di quattro persone servono ormai 1.600 euro al mese per le spese, escluse quelle d’affitto. Burro e olio che, in certi negozi in Serbia, sono persino finiti sottochiave sugli scaffali per evitare furti. «Con questi prezzi, chi compra il tonno italiano ottiene anche la cittadinanza», ha commentato ironicamente su Twitter l’utente Vesna Blazenka. E pure i mercati rionali, un tempo “salvezza” per i consumatori per i prezzi relativamente bassi, sono sempre più cari.
Per non parlare poi della carne, elemento base della dieta locale, che sta diventando prodotto per ricchi. E il quadro rischia di peggiorare, ad esempio in Serbia, dopo che il governo ha deciso di abolire il calmieramento per le carni di maiale e pollo. Già prima della crisi la spesa per il cibo nella regione era la più alta in Europa, con il 43% del reddito investito in cibo in Albania, il 30% in Bosnia, 44% in Macedonia del Nord, 32% in Montenegro, 28% in Serbia, contro il 13% della media Ue. Ma con l’inflazione a due cifre che non cala il quadro non potrà che peggiorare.
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