Kosovo, Mosca appoggia Belgrado, Usa e Ue: «Urgente una soluzione»

Ma il Cremlino precisa: «Nessuna influenza russa». Washington e Bruxelles invitano tutti alla calma
Stefano Giantin

BELGRADO Pristina rincara, Mosca nega tutto, Ue e Usa fanno appello alla calma, i serbi alzano ancora la posta; ma non ci sono solo ombre nella infinita, estenuante nuova crisi tra Serbia e Kosovo. Crisi dietro la quale non c’è la Russia, storico alleato di Belgrado, ha rivendicato il Cremlino assicurando che sarebbe «sbagliato» attribuire a Mosca alcuna velleità di destabilizzare i Balcani, secondo la dichiarazione del portavoce di Putin, Dmitry Peskov. La Serbia, infatti, è «un Paese sovrano ed è assolutamente erroneo cercare una influenza distruttiva della Russia» nell’area, ha aggiunto Peskov, difendendo le posizioni di Belgrado che «protegge i diritti dei serbi che vivono in condizioni difficili e reagisce naturalmente in maniera dura quanto questi sono violati».

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Kosovo, per soldati e agenti serbi scatta lo stato di massima allerta
La redazione

Le parole di Peskov arrivano in risposta alle accuse formulate dal ministro degli Interni kosovaro, Xhelal Svecla, che martedì aveva affermato che la Serbia avrebbe innalzato al massimo il livello di allerta del suo esercito «sotto spinta della Russia», per sovvertire l’ordine costituito nel nord a maggioranza serba ma anche nell’intero Kosovo. Posizione, quella di Svecla, che è condivisa dall’intero governo del premier Albin Kurti. Lo conferma una lettera, vergata dal ministero degli Esteri di Pristina, inviata ai Paesi membri della Ue. Nella missiva di tre pagine si elencano le mosse che sarebbero da attribuire alla Serbia con l’obiettivo di «destabilizzare deliberatamente» il nord, in modo da «scoraggiare l’avanzamento del dialogo». Il tutto, ha aggiunto Pristina, ricorderebbe molto «i modi con cui la Serbia iniziò le guerre degli Anni Novanta», un chiaro riferimento all’uso delle barricate da parte, ad esempio, dei serbi della Krajina, agli albori dell’implosione violenta della Jugoslavia.

Le barricate dei serbi, nel frattempo, non vengono smantellate ma aumentano di numero. Oltre a quelle nel nord, infatti, un nuovo blocco stradale si è materializzato l’altra notte in territorio serbo, a pochissima distanza dal valico tra Serbia e Kosovo di Merdare, uno dei più importanti e trafficati, usato in questi giorni anche da decine di migliaia di emigranti, tornati in patria per le feste. Merdare che, per colpa della barricata, è «stato chiuso» a tempo indeterminato, ha annunciato il ministero degli Interni di Pristina, confermando lo scenario di un Kosovo parzialmente isolato, dato che anche i punti di Jarinje e Brnjak rimangono sigillati.

Ma non giungono solo brutte notizie. Ed è infatti potenzialmente molto positiva la notizia degli arresti domiciliari che saranno concessi a Dejan Pantic, ex agente della polizia kosovara di etnia serba, arrestato perché sospettato di atti di terrorismo, un fermo che è stato la scintilla che ha portato al muro contro muro. E il suo ritorno a casa, anche se non prosciolto dalle accuse, potrebbe favorire una de-escalation quanto mai necessaria – perché era fra le condizioni dei serbi per rimuovere le barricate. Nel frattempo, serve «massima moderazione» e si agisca «immediatamente per una de-escalation senza condizioni, astenendosi da provocazioni, minacce o intimidazioni», hanno chiesto ieri Usa e Ue, mentre l’Italia ha domandato, per bocca del ministro degli Esteri Antonio Tajani, di evitare «gesti unilaterali». E proprio Usa e Ue avrebbero offerto “garanzie” importanti alla Serbia, tanto da spingere il presidente Aleksandar Vučić a suggerire ai serbi di lasciare le barricate. Per ora, tuttavia, il passo non è ancora maturo.

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