Donna uccisa dal compagno a Umago, lo choc delle amiche: «Di lui si fidava»

Nina Gryshak, nata in Ucraina, viveva da anni in provincia di Mantova con le figlie. Il suo impegno per i connazionali in fuga

Francesco Abiuso

TRIESTE Nina che prende il coraggio a due mani e pronuncia il suo discorso al microfono, accanto al sindaco, in occasione del 25 Aprile: «Questa è la festa della vostra Liberazione. Ora vogliamo quella del nostro Paese». Nina super-indaffarata questa primavera che attende la prima famiglia in fuga dalla guerra e gira per il paese chiedendo a tutti una mano, e alla fine riesce pure a metterci un mazzo di fiori sulla tavola, in quell’appartamento avuto dal Comune e segno di speranza per chi fugge dall’inferno.

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I ricordi si inanellano uno dopo l’altro a Medole, in provincia di Mantova, mentre in piazza è un sabato di mercato come tanti, un sabato d’estate, e i ragazzi vanno e vengono dal centro estivo parrocchiale. Ma basta pronunciare il nome di Nina e chi l’ha conosciuta non riesce a celare occhi rossi di pianto. «Di questo stavamo parlando».

La tragedia è sparata dalle locandine dei giornali. Lei, Nina Gryshak, 40 anni, ucraina da tanti anni in Italia, due figlie, una sui vent’anni e l’altra che deve andare in prima media, una separazione recente dal marito, è la donna uccisa a calci e pugni vicino a Umago dal nuovo compagno con cui da circa un anno aveva intrecciato una relazione. Lui è Marcello Passera, operaio metalmeccanico (ex dipendente della Franzoni che fa le tensostrutture, poi passato alla metalmeccanica Cmm) figlio di una bidella delle scuole e di un operaio in pensione e guardiacaccia volontario. Una vacanza al mare, in Croazia, nella frazione di Zacchigni, pensata per staccare un po’ dopo mesi intensi e finita invece in un orrendo omicidio dopo una notte di violente liti. Un tragico epilogo di cui, assicurano, non c’era sentore.

«Di lui si fidava, poco ma sicuro – garantisce un’amica, tra le tante donne di Medole che Nina aveva saputo coinvolgere nell’accoglienza di ucraine – non avrebbe mai accettato di andare in vacanza con lui se non fosse stato così. Aveva anche pensato di portare la figlia più piccola, di undici anni. Nina aveva un carattere forte, era appena uscita da un matrimonio e mai e poi mai avrebbe accettato di vivere una storia che non la convinceva fino in fondo. Certo, sapeva di quello che il paese pensava di lui, che lo giudicavano un poco di buono. Ma lei diceva: “A tutti capita di sbagliare, bisogna dargli una seconda possibilità». E lei gliel’aveva data. Su una cosa ancora nicchiava: «Non voleva andare a convivere con lui. Voleva tenere separata la sua nuova storia con quella della sua famiglia».

Famiglia che poi, da quando il matrimonio con il marito Alexandr, anch’egli ucraino, era andata naufragando, era costituita dalle sue due figlie. La maggiore, ora diventata autonoma e andata a vivere con il compagno, e la più piccola cui ancora doveva badare.

Nina era in Italia da almeno una ventina d’anni. Insieme con il marito aveva prima abitato a Napoli, poi si era trasferita anni fa nel Mantovano. Una parentesi di pochi anni in Ucraina per fare nascere la seconda figlia e il rientro a Medole. Il marito lavora come saldatore. Poco più di un anno fa la crisi tra due, e lei aveva lasciato l’appartamento di via Zuradelli. «Era una donna fiera e decisa, voleva autonomia, indipendenza» raccontano le amiche.

L’invasione russa di febbraio la trova pronta a uno slancio di solidarietà con pochi eguali per i connazionali: «Si era resa disponibile al 100%, dalle pratiche per i permessi ai viaggi in ospedale per le vaccinazioni anti-Covid. Raccoglieva viveri e li spediva. Cercava case e famiglie pronte a ospitare, e aiuti nel reperire mobili, elettrodomestici, disponibilità a fare le pulizie. In pochi mesi oltre trenta persone sono state accolte».

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