Bosnia candidata all’Unione europea, la politologa Prelec: «Passo simbolico dal forte segnale»

La politologa Tena Prelec venerdì fra gli ospiti della conferenza di Dialoghi europei a Trieste
Stefano Giantin
Tena Prelec politologa all’Università di Oxford, venerdì tra i relatori a Dialoghi europei
Tena Prelec politologa all’Università di Oxford, venerdì tra i relatori a Dialoghi europei

TRIESTE Lo status di candidato alla Bosnia? Una mossa simbolica ma nondimeno importante, soprattutto per i suoi abitanti. E un passo avanti verso l’integrazione Ue dei Balcani, troppo lenta e gravida di rischi, mentre il nodo Kosovo resta insoluto.

È il punto sulla regione della politologa dell’Università di Oxford e membro del Balkans in Europe Policy Advisory Group, Tena Prelec.

LA DECISIONE
E’ ufficiale: la Bosnia-Erzegovina è candidata ad aderire all’Unione europea
La redazione

Prelec sarà oggi (venerdì 16 dicembre) a Trieste (ore 17.30, sala Tessitori del Consiglio regionale ) tra i relatori della seconda conferenza del ciclo sui Balcani occidentali organizzato da Dialoghi Europei, focalizzata su Bosnia Erzegovina e Kosovo. Assieme alla studiosa, moderati dal presidente di Dialoghi Europei Giorgio Perini, interverranno Nicola Minasi, già ambasciatore italiano a Sarajevo oggi capo dell’Unità di crisi della Farnesina; Davide Denti, policy officer alla Commissione Ue, e Carlo Giunipero, già consigliere politico del comandante Kfor.

Prelec, quanto è importante la concessione dello status alla Bosnia?

Lo è soprattutto dal punto di vista simbolico, perché il processo d’adesione sarà lungo. Ma il simbolismo non è da sottovalutare. A giugno, quando lo status è stato concesso solo a Ucraina e Moldavia, molti bosniaci hanno letto il tutto come un’ingiustizia. A Sarajevo c’è comprensione per un popolo, quello ucraino, vittima di un’aggressione, ma il processo della Bosnia dura da tanto ed è stato molto più stringente. C’era il rischio che in Bosnia ci si chiedesse se c’è bisogno di un’altra guerra per farsi prendere sul serio dall’Europa. Ora è stato tuttavia rimediato a un torto.

In che condizioni di salute è oggi la Bosnia?

È un Paese con molte difficoltà. Più sotto i riflettori è quella tra le etnie, acuita durante le scorse elezioni, quando uno dei crucci principali è stato il fatto che i croati ritengono che il sistema elettorale giochi a loro sfavore, con voci crescenti a favore di una terza entità croata che avrebbe però mandato la struttura di Dayton allo sfascio. C’è poi il separatismo di Milorad Dodik (presidente dell’entità a maggioranza serba, ndr). E il tema sicurezza. Ma su questo punto è stato risolto il problema della missione Eufor, il cui mandato scadeva a novembre. E ci sono anche problemi interni, poco menzionati, ma i più difficili da risolvere. Fra questi quello della corruzione, che è purtroppo endemica. Si sono fatti passetti avanti nel settore giudiziario, ma non sufficienti.

Alla leadership in Bosnia si possono attribuire molte responsabilità per i problemi menzionati. Pensa sia un errore “premiarle” con lo status?

Penso che lo status sia un segnale alla popolazione, da non mettere in relazione con la leadership che comunque è difficile cambiare tenuto conto del sistema creato con Dayton. E alle ultime elezioni c’è stata in ogni caso una piccola ventata di aria fresca. Ora bisogna vedere come il processo d’adesione sarà gestito dal nuovo governo.

La Bosnia fa un passo avanti ma l’integrazione dei Balcani, lentissima, rimane una chimera. Quali i rischi?

Il premier albanese Edi Rama, parlando della Ue, ha detto che una volta ci si preparava per un matrimonio e a una grandissima festa, ora invece ci si prepara solo al matrimonio, senza festeggiamenti. Nei Balcani l’atteggiamento verso l’adesione è diventato pragmatico, non di trasformazione. E i rischi per l’Europa ci sono, come il lasciare lo spazio ad altri attori, Russia e Cina. Va però detto che nei Balcani le opinioni pubbliche rimangono a favore dell’adesione, con l’eccezione della Serbia.

Serbia in rotta in collisione con il Kosovo. C’è possibilità di accordo?

Da qualche tempo c’è un dialogo doppio. Da una parte quello ufficiale, con intese su temi specifici, un processo incrementale per arrivare a un accordo finale in maniera quasi naturale. Dall’altra c’è l’idea franco-tedesca, che prevede che lo status del Kosovo vada risolto per primo, con la Serbia che non blocca il Kosovo nelle organizzazioni internazionali, mentre Pristina concede autonomia ai serbi in Kosovo. Ma a Belgrado c’è scetticismo: un’intesa del genere irrigidirebbe le posizioni. E dividerebbe i politici tra patrioti e traditori. L’attuale crisi potrebbe essere letta così, come un tentativo di non passare da traditori, sia a Pristina sia a Belgrado.

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