Perché l’Unione europea si gioca il suo futuro sulla difesa militare
La sicurezza è divenuta la prima questione sul tappeto in un mondo in cui la forza militare è tornata al centro: il tabù da superare è il voto unanime


Non è certo casuale che i droni russi abbiano violato i cieli della Polonia nella notte precedente al discorso sullo “stato dell’Unione” di Ursula von der Leyen. E dunque, mentre in Europa è in atto da tre anni e mezzo una guerra sanguinosa nella quale gli ucraini stanno difendendo la loro libertà, ma anche la nostra, il tema della difesa europea insieme a quella dell’Ucraina non poteva non essere al centro di quel discorso.
Di fronte all’espansionismo imperialistico di Putin, la sicurezza è ormai diventata per l’Ue la prima questione sul tappeto, in un mondo in cui la forza militare è tornata a essere al centro della scena, come ha dimostrato la parata di Pechino dei giorni scorsi.
La favola che ci siamo raccontati dell’Europa “potenza erbivora” si è ora mostrata per quello che è: una favola, appunto. L’Unione sconta oggi più che mai la debolezza del suo assetto istituzionale e politico, quando i Paesi che ne fanno parte sono chiamati fare scelte difficili, ma concrete, per garantire la loro sicurezza.
Il tabù da superare è il voto unanime richiesto per molte, troppe scelte cruciali, che diventa un diritto di veto, assicurato a ogni singolo Stato. E i governi nazional-sovranisti (quello di Giorgia Meloni in primis) si oppongono strenuamente al superamento della regola dell’unanimità.
Anche per questo deve crescere in Europa un senso vero, autentico, di cittadinanza europea. I dati di sondaggi realizzati a cura della Commissione Ue sarebbero confortanti, peraltro: il 69% degli europei è favorevole a una politica estera comune, e è parimenti convinto che l’Ue disponga di strumenti sufficienti per difendere i propri interessi nell’economia globale.
L’86% sembra consapevole dei rischi che corrono oggi i sistemi liberal-democratici di fronte alle ingerenze straniere attraverso una “guerra ibrida”, tra disinformazione e attentati alla cybersecurity. E il 90% riconosce l’importanza del rispetto dei valori dell’Ue, soprattutto dello stato di diritto, che oggi nel mondo sono a rischio, persino negli Usa di Trump. Non stupisce dunque se il 71% ritiene che l’Ue debba intensificare la capacità di produrre attrezzature militari, e che il 77% sia a favore di una politica di difesa e sicurezza comune.
Ma, nonostante questi dati, anche nei Paesi in cui la liberal-democrazia sembrerebbe avere solide radici, crescono nei Parlamenti nazionali partiti di destra-destra, ma anche di (pseudo)sinistra, che attribuiscono alla Ue l’origine di tutti i mali. In nome di ideologie nazional-sovraniste filo-trumpiane autoritarie, propongono false scorciatoie per la risoluzione dei problemi che assillano i cittadini europei, in un contesto socio-economico in cui crescono le differenze di ceto e di reddito.
Da dove viene questa strana schizofrenia? Forse dall’incapacità di (o dal rifiuto di) comprendere che nel cambiamento radicale del mondo di oggi il welfare che gli Stati europei hanno finora garantito, a livello pensionistico come della spesa sanitaria, non è più sostenibile, e che si richiedono interventi radicali, come insegna la Francia, ma non solo. E ne scaricano la responsabilità sull’Unione. E poi, l’alternativa all’Ue quale sarebbe? Un mosaico di staterelli europei scioccamente orgogliosi del loro «sovranismo senza sovranità»?
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